‘Nel delicato momento del postparto, le donne sono maggiormente riluttanti nel richiedere autonomamente una consultazione o un trattamento, a causa di un’inadeguata informazione riguardo ai segni della depressione, che le induce a sottovalutare la gravità dei sintomi della sfera depressiva’.
Maria Zaccagnino è laureata in Psicologia presso l’Università degli studi di Pavia ed è dottore di ricerca in Psicologia dello sviluppo, Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale. Ha svolto parte del corso di dottorato presso l’Università del Texas, Austin, mentre nel biennio post dottorato ha lavorato all’Università degli Studi di Torino. È stata assegnista di ricerca presso l’Università degli studi di Varese. E’ cultrice della materia alla Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino. E’ professore a contratto presso diverse Facoltà italiane e collabora con l’Università della Svizzera Italiana come ricercatore post doc ad un progetto di ricerca triennale finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero. Lavora anche con alcune università di fama internazionale (Università di Manchester; Università di Austin, Texas; Università di Berkley, California; University College, Londra). Ecco il suo intervento sulla depressione post partum. In fondo alla sua intervista troverete anche un paio di titoli per approfondire.
Dott.ssa Zaccagnino, quando si può dire che una mamma soffre di depressione post partum?
La depressione postpartum rappresenta la più comune forma di sofferenza psicologica del periodo successivo al parto e rientra tra i più preoccupanti problemi della sanità pubblica. Tuttavia i disturbi depressivi che possono affliggere le donne nel periodo perinatale sembrano essere sotto-diagnosticati e poco trattati. I primi segni depressivi si manifestano, solitamente, in modo subdolo e mascherato e possono evolvere in modo silente per lungo tempo prima di raggiungere la forma conclamata.
Il classico quadro sintomatologico prevede una situazione di forte sofferenza, caratterizzata da ansia e irritabilità, in presenza di basso tono dell’umore, perdita di piacere, disperazione, fatica eccessiva, agitazione psicomotoria, disturbi del sonno, senso di colpa e sentimenti d’inadeguatezza. Compaiono spesso pessimismo, ruminazione ossessiva, senso di solitudine, scarsa capacità di concentrazione, difficoltà di memoria e decisionale, voglia di piangere persistente, disturbi della sfera sessuale, bassa autostima. Per quanto riguarda i vissuti sperimentati dalle neomamme depresse, sono spesso riscontrati nei loro racconti sentimenti di smarrimento e privazione, intesa come perdita della propria autonomia e del tempo per se stesse, perdita di controllo, perdita di relazioni e di interesse per le attività che prima arrecavano piacere, compreso il sesso, perdita della propria identità accompagnate da trasformazioni che coinvolgono anche l’identità lavorativa e l’immagine corporea. Al quadro sopra descritto si aggiunge un ulteriore elemento, a quanto pare caratteristico della depressione postnatale, ovvero la presenza di preoccupazioni ossessive per il piccolo che possono portare la donna a chiudersi nella relazione con questi escludendone progressivamente il partner.
La depressione post partum può dipendere da fattori ambientali o sociali? Mi spiego: una mamma che ha un figlio in un ambiente culturale elevato, senza problemi economici può avere le stesse probabilità di ammalarsi di una che vive in una condizione più disagiata? La depressione post partum può colpire anche le mamme che hanno avuto un aborto o le mamme adottive?
Lo studio dei fattori di rischio è di fondamentale importanza al fine di identificare le donne potenzialmente più vulnerabili alla sintomatologia depressiva e le famiglie che, per proprie peculiari caratteristiche possono, con maggiore probabilità contribuire alla creazione di un contesto rischioso per le neo-mamme. Tale vulnerabilità può essere attenuata dai “fattori di protezione”: condizioni positive di sostegno che contrastano l’effetto dei fattori di rischio, sia sulla persona, sia sul contesto più allargato, favorendo un generale adattamento alle condizioni di vita più o meno avverse.
Esiste ormai un’ampia mole di studi che evidenzia come sull’insorgenza della depressione postpartum influisca una serie di fattori di natura psicologica, biologica, ostetrica, sociale e relazionale. La depressione si configura, infatti, come un disturbo complesso, multidimensionale, sul quale incidono tanto il patrimonio genetico ed ereditario dell’individuo quanto componenti ad esso esterne (Monti & Agostini, 2006). Nello specifico, nello studio dei fattori di rischio legati alla maternità, la maggior parte degli autori pone l’accento sul peso degli elementi soggettivi (quali depressione e ansia prenatale, eventi di vita negativi, lutti durante la gravidanza) e relazionali (quali ad esempio difficoltà interpersonali vissute durante l’infanzia o sperimentate con l’attuale compagno, o l’essere un genitore single) nel predisporre la donna a sviluppare una sintomatologia depressiva successivamente al parto.
Alcuni fattori pratici giocano inoltre un ruolo importante nell’aumentare il rischio di vissuti depressivi postnatali. Tra questi essere un genitore single, status socio-economico basso, gravidanza non voluta/non pianificata, la perdita dell’impiego e dell’identità lavorativa durante la gravidanza, malattie della donna e difficoltà temperamentali del piccolo possono fungere da incipit per la sintomatologia depressiva.
Quali sono le difficoltà che le mamme riportano quando entrano in psicoterapia?
Nel delicato momento del postparto, le donne sono maggiormente riluttanti nel richiedere autonomamente una consultazione o un trattamento, a causa di un’inadeguata informazione riguardo ai segni della depressione, che le induce a sottovalutare la gravità dei sintomi della sfera depressiva. Una precoce identificazione del rischio di depressione post natale, seppur un importante primo passo, non porta necessariamente all’intervento e soprattutto non implica che la donna sia in grado, e accetti, di riconoscere la presenza e la serietà del suo disagio, che sappia dell’esistenza di strutture competenti e che sia disposta ad accettare le cure.
Le donne depresse possono, infatti, sperimentare una reale difficoltà nel verbalizzare o anche solo nell’accettare quei sentimenti negativi che mal si conciliano col senso comune che mitizza la maternità e la vuole accompagnata solo da grande felicità e senso di realizzazione.
La depressione postpartum è una problematica complessa, causata da una molteplicità di fattori e dalle relazioni tra essi, la cui gravità dipende da condizioni ambientali e relazionali, ma anche individuali e i cui effetti possono coinvolgere diversi ambiti della vita della donna e di chi le sta intorno, neonato compreso. La trattazione dell’incidenza del fenomeno depressivo nel postparto e le evidenze a sostegno dei suoi molteplici effetti negativi mettono chiaramente in luce l’importanza di interventi volti a prevenire il fenomeno. Tuttavia, la complessità ed eterogeneità ne rende complicata sia la prevenzione, sia la diagnosi: il 50% delle donne sofferenti di depressione postpartum sembrerebbe infatti non ricevere un’adeguata diagnosi. I processi preventivi risultano, infatti, di non semplice attuazione per due motivi principali. Innanzi tutto, è estremamente complessa l’individuazione precoce ed esaustiva dei segnali di rischio, data l’impossibilità di determinare una causa univoca della genesi del disturbo, la quale risulta, invece, legata alla compresenza di fattori psicologici, psicosociali, biologici, ostetrico-ginecologici ed ambientali. In secondo luogo, la natura ambigua dei primi sintomi, le difficoltà incontrate dalla madre nel chiedere aiuto e l’ambiguità delle risposte sociosanitarie contribuiscono a rendere complesso il riconoscimento della depressione postpartum.
Nonostante tali difficoltà, gli interventi preventivi della depressione postparto risultano meno complessi rispetto a quelli volti a prevenire altre tipologie di disturbi psicopatologici, in quanto può essere individuato l’evento determinante il rischio, ovvero la nascita del bambino ed è conosciuto l’intervallo di tempo entro il quale i sintomi insorgono e si esacerbano: generalmente, i primo tre o quattro mesi dopo la nascita. Inoltre, soprattutto nei primi mesi di vita del bambino, le neomamme sembrano rivolgersi con più frequenza ai servizi sanitari territoriali, all’interno dei quali hanno la possibilità di incontrare diverse figure professionali le quali hanno l’opportunità, se adeguatamente formate, di riconoscere e segnalare i primi sintomi della depressione postnatale.
Sono proprio i ginecologici, le ostetriche, i pediatri e tutto il personale che gravita intorno alla maternità e che si occupa della salute della donna e del piccolo che possono identificare per primi le situazioni a rischio, in modo da poterle sostenere e aiutare nel modo più efficace possibile al fine di salvaguardare la loro salute, quella dei piccoli e di chi vi ruota intorno.
Accanto agli interventi preventivi, sono di fondamentale importanza anche gli interventi volti a trattare la depressione postparto, quando si è già configurata come disturbo conclamato, al fine di ridurne gli effetti negativi. Il trattamento della depressione postnatale richiede competenze specifiche, una formazione adeguata e la flessibilità necessaria affinché l’intervento sia mirato alla specifica situazione. I possibili trattamenti che hanno dimostrato la loro efficacia sono molteplici, distinguibili a grandi linee in trattamenti farmacologici e in trattamenti psicologici.
A loro volta, i trattamenti psicologici si differenziano a seconda della natura dell’intervento e del particolare approccio del singolo terapeuta. Ciascun tipo di trattamento richiede una preparazione adeguata e tutta una serie di competenze acquisite durante gli anni di formazione. Inoltre, ogni intervento terapeutico necessita di essere strutturato sulle peculiarità e specificità della singola situazione: per una sintomatologia lieve o moderata saranno efficaci interventi di sostegno breve, mentre un quadro sintomatologico più grave richiederà un lavoro terapeutico più approfondito.
Anche i papà possono soffrirne, sebbene si parli poco di questo aspetto. Lei ha avuto qualche esperienza in merito?
Nonostante la maggior parte degli studi si sia concentrata sulla depressione materna durante il periodo della gravidanza e del postpartum, molte ricerche consentono di affermare che anche i partner posso soffrire di vissuti depressivi. Recenti rassegne sull’argomento individuano la percentuale di depressione paterna al 10,4% circa della popolazione, e tra il 24% e il 50% negli uomini le cui partners vivono un’esperienza depressiva. Questi dati rientrano nel range (10%-18%) individuato per la depressione materna, andando a confermare una certa analogia tra le due sintomatologie, nonché una loro possibile correlazione. Infatti, per quanto concerne la comorbilità tra depressione materna e paterna nel periodo successivo al parto, diversi studi sostengono l’ipotesi di un rischio maggiore per il neopapà di sperimentare vissuti depressivi se in coppia con donne sofferenti.
Il periodo più a rischio sembra essere quello tra i tre e i sei mesi dopo il parto. Riguardo la sintomatologia della depressione postnatale paterna, questa può manifestarsi in modo differente rispetto alle donne e può risultare difficile da riconoscere in quanto i sintomi sono talvolta interpretati come naturale ansia per i cambiamenti sociali e le difficoltà economiche. Molti padri hanno timore di apparire ridicoli nel cercare attenzione rispetto ai propri bisogni e possono così rimandare a lungo la richiesta d’aiuto. I sintomi principali comprendono un alto livello di irritabilità e attacchi di rabbia, a cui spesso si aggiungono rigidità affettiva, autocritica, senso di colpa, sbalzi d’umore, ipersonnia, mancanza di fiducia, tristezza, stanchezza emotiva, ansia e/o attacchi di panico, dissociazione e apprensione.
Foto credits: Valentina Colmi
Maria Zaccagnino (2009), I disagi della maternità. Individuazione, prevenzione, trattamento, Franco Angeli, Milano
Fiorella Monti, Francesca Agostini (2006), La depressione post natale, Carocci, Roma
Maria Zaccagnino, psicoterapeuta: “Il 50% delle donne con la depressione potrebbe non avere adeguata diagnosi”
‘Nel delicato momento del postparto, le donne sono maggiormente riluttanti nel richiedere autonomamente una consultazione o un trattamento, a causa di un’inadeguata informazione riguardo ai segni della depressione, che le induce a sottovalutare la gravità dei sintomi della sfera depressiva’.
Maria Zaccagnino è laureata in Psicologia presso l’Università degli studi di Pavia ed è dottore di ricerca in Psicologia dello sviluppo, Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale. Ha svolto parte del corso di dottorato presso l’Università del Texas, Austin, mentre nel biennio post dottorato ha lavorato all’Università degli Studi di Torino. È stata assegnista di ricerca presso l’Università degli studi di Varese. E’ cultrice della materia alla Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino.
E’ professore a contratto presso diverse Facoltà italiane e collabora con l’Università della Svizzera Italiana come ricercatore post doc ad un progetto di ricerca triennale finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero. Lavora anche con alcune università di fama internazionale (Università di Manchester; Università di Austin, Texas; Università di Berkley, California; University College, Londra). Ecco il suo intervento sulla depressione post partum. In fondo alla sua intervista troverete anche un paio di titoli per approfondire.
Dott.ssa Zaccagnino, quando si può dire che una mamma soffre di depressione post partum?
La depressione postpartum rappresenta la più comune forma di sofferenza psicologica del periodo successivo al parto e rientra tra i più preoccupanti problemi della sanità pubblica. Tuttavia i disturbi depressivi che possono affliggere le donne nel periodo perinatale sembrano essere sotto-diagnosticati e poco trattati. I primi segni depressivi si manifestano, solitamente, in modo subdolo e mascherato e possono evolvere in modo silente per lungo tempo prima di raggiungere la forma conclamata.
Il classico quadro sintomatologico prevede una situazione di forte sofferenza, caratterizzata da ansia e irritabilità, in presenza di basso tono dell’umore, perdita di piacere, disperazione, fatica eccessiva, agitazione psicomotoria, disturbi del sonno, senso di colpa e sentimenti d’inadeguatezza. Compaiono spesso pessimismo, ruminazione ossessiva, senso di solitudine, scarsa capacità di concentrazione, difficoltà di memoria e decisionale, voglia di piangere persistente, disturbi della sfera sessuale, bassa autostima. Per quanto riguarda i vissuti sperimentati dalle neomamme depresse, sono spesso riscontrati nei loro racconti sentimenti di smarrimento e privazione, intesa come perdita della propria autonomia e del tempo per se stesse, perdita di controllo, perdita di relazioni e di interesse per le attività che prima arrecavano piacere, compreso il sesso, perdita della propria identità accompagnate da trasformazioni che coinvolgono anche l’identità lavorativa e l’immagine corporea. Al quadro sopra descritto si aggiunge un ulteriore elemento, a quanto pare caratteristico della depressione postnatale, ovvero la presenza di preoccupazioni ossessive per il piccolo che possono portare la donna a chiudersi nella relazione con questi escludendone progressivamente il partner.
La depressione post partum può dipendere da fattori ambientali o sociali? Mi spiego: una mamma che ha un figlio in un ambiente culturale elevato, senza problemi economici può avere le stesse probabilità di ammalarsi di una che vive in una condizione più disagiata? La depressione post partum può colpire anche le mamme che hanno avuto un aborto o le mamme adottive?
Lo studio dei fattori di rischio è di fondamentale importanza al fine di identificare le donne potenzialmente più vulnerabili alla sintomatologia depressiva e le famiglie che, per proprie peculiari caratteristiche possono, con maggiore probabilità contribuire alla creazione di un contesto rischioso per le neo-mamme. Tale vulnerabilità può essere attenuata dai “fattori di protezione”: condizioni positive di sostegno che contrastano l’effetto dei fattori di rischio, sia sulla persona, sia sul contesto più allargato, favorendo un generale adattamento alle condizioni di vita più o meno avverse.
Esiste ormai un’ampia mole di studi che evidenzia come sull’insorgenza della depressione postpartum influisca una serie di fattori di natura psicologica, biologica, ostetrica, sociale e relazionale. La depressione si configura, infatti, come un disturbo complesso, multidimensionale, sul quale incidono tanto il patrimonio genetico ed ereditario dell’individuo quanto componenti ad esso esterne (Monti & Agostini, 2006). Nello specifico, nello studio dei fattori di rischio legati alla maternità, la maggior parte degli autori pone l’accento sul peso degli elementi soggettivi (quali depressione e ansia prenatale, eventi di vita negativi, lutti durante la gravidanza) e relazionali (quali ad esempio difficoltà interpersonali vissute durante l’infanzia o sperimentate con l’attuale compagno, o l’essere un genitore single) nel predisporre la donna a sviluppare una sintomatologia depressiva successivamente al parto.
Alcuni fattori pratici giocano inoltre un ruolo importante nell’aumentare il rischio di vissuti depressivi postnatali. Tra questi essere un genitore single, status socio-economico basso, gravidanza non voluta/non pianificata, la perdita dell’impiego e dell’identità lavorativa durante la gravidanza, malattie della donna e difficoltà temperamentali del piccolo possono fungere da incipit per la sintomatologia depressiva.
Quali sono le difficoltà che le mamme riportano quando entrano in psicoterapia?
Nel delicato momento del postparto, le donne sono maggiormente riluttanti nel richiedere autonomamente una consultazione o un trattamento, a causa di un’inadeguata informazione riguardo ai segni della depressione, che le induce a sottovalutare la gravità dei sintomi della sfera depressiva. Una precoce identificazione del rischio di depressione post natale, seppur un importante primo passo, non porta necessariamente all’intervento e soprattutto non implica che la donna sia in grado, e accetti, di riconoscere la presenza e la serietà del suo disagio, che sappia dell’esistenza di strutture competenti e che sia disposta ad accettare le cure.
Le donne depresse possono, infatti, sperimentare una reale difficoltà nel verbalizzare o anche solo nell’accettare quei sentimenti negativi che mal si conciliano col senso comune che mitizza la maternità e la vuole accompagnata solo da grande felicità e senso di realizzazione.
In Lombardia 1 mamma su 3 soffre di depressione post partum, eppure non esistono in Italia delle linee guida universali per trattare la malattia, soprattutto sul terreno della prevenzione. Che tipo di aiuti ci sono allora?
La depressione postpartum è una problematica complessa, causata da una molteplicità di fattori e dalle relazioni tra essi, la cui gravità dipende da condizioni ambientali e relazionali, ma anche individuali e i cui effetti possono coinvolgere diversi ambiti della vita della donna e di chi le sta intorno, neonato compreso. La trattazione dell’incidenza del fenomeno depressivo nel postparto e le evidenze a sostegno dei suoi molteplici effetti negativi mettono chiaramente in luce l’importanza di interventi volti a prevenire il fenomeno. Tuttavia, la complessità ed eterogeneità ne rende complicata sia la prevenzione, sia la diagnosi: il 50% delle donne sofferenti di depressione postpartum sembrerebbe infatti non ricevere un’adeguata diagnosi. I processi preventivi risultano, infatti, di non semplice attuazione per due motivi principali. Innanzi tutto, è estremamente complessa l’individuazione precoce ed esaustiva dei segnali di rischio, data l’impossibilità di determinare una causa univoca della genesi del disturbo, la quale risulta, invece, legata alla compresenza di fattori psicologici, psicosociali, biologici, ostetrico-ginecologici ed ambientali. In secondo luogo, la natura ambigua dei primi sintomi, le difficoltà incontrate dalla madre nel chiedere aiuto e l’ambiguità delle risposte sociosanitarie contribuiscono a rendere complesso il riconoscimento della depressione postpartum.
Nonostante tali difficoltà, gli interventi preventivi della depressione postparto risultano meno complessi rispetto a quelli volti a prevenire altre tipologie di disturbi psicopatologici, in quanto può essere individuato l’evento determinante il rischio, ovvero la nascita del bambino ed è conosciuto l’intervallo di tempo entro il quale i sintomi insorgono e si esacerbano: generalmente, i primo tre o quattro mesi dopo la nascita. Inoltre, soprattutto nei primi mesi di vita del bambino, le neomamme sembrano rivolgersi con più frequenza ai servizi sanitari territoriali, all’interno dei quali hanno la possibilità di incontrare diverse figure professionali le quali hanno l’opportunità, se adeguatamente formate, di riconoscere e segnalare i primi sintomi della depressione postnatale.
Sono proprio i ginecologici, le ostetriche, i pediatri e tutto il personale che gravita intorno alla maternità e che si occupa della salute della donna e del piccolo che possono identificare per primi le situazioni a rischio, in modo da poterle sostenere e aiutare nel modo più efficace possibile al fine di salvaguardare la loro salute, quella dei piccoli e di chi vi ruota intorno.
Accanto agli interventi preventivi, sono di fondamentale importanza anche gli interventi volti a trattare la depressione postparto, quando si è già configurata come disturbo conclamato, al fine di ridurne gli effetti negativi. Il trattamento della depressione postnatale richiede competenze specifiche, una formazione adeguata e la flessibilità necessaria affinché l’intervento sia mirato alla specifica situazione. I possibili trattamenti che hanno dimostrato la loro efficacia sono molteplici, distinguibili a grandi linee in trattamenti farmacologici e in trattamenti psicologici.
A loro volta, i trattamenti psicologici si differenziano a seconda della natura dell’intervento e del particolare approccio del singolo terapeuta. Ciascun tipo di trattamento richiede una preparazione adeguata e tutta una serie di competenze acquisite durante gli anni di formazione. Inoltre, ogni intervento terapeutico necessita di essere strutturato sulle peculiarità e specificità della singola situazione: per una sintomatologia lieve o moderata saranno efficaci interventi di sostegno breve, mentre un quadro sintomatologico più grave richiederà un lavoro terapeutico più approfondito.
Anche i papà possono soffrirne, sebbene si parli poco di questo aspetto. Lei ha avuto qualche esperienza in merito?
Nonostante la maggior parte degli studi si sia concentrata sulla depressione materna durante il periodo della gravidanza e del postpartum, molte ricerche consentono di affermare che anche i partner posso soffrire di vissuti depressivi. Recenti rassegne sull’argomento individuano la percentuale di depressione paterna al 10,4% circa della popolazione, e tra il 24% e il 50% negli uomini le cui partners vivono un’esperienza depressiva. Questi dati rientrano nel range (10%-18%) individuato per la depressione materna, andando a confermare una certa analogia tra le due sintomatologie, nonché una loro possibile correlazione. Infatti, per quanto concerne la comorbilità tra depressione materna e paterna nel periodo successivo al parto, diversi studi sostengono l’ipotesi di un rischio maggiore per il neopapà di sperimentare vissuti depressivi se in coppia con donne sofferenti.
Il periodo più a rischio sembra essere quello tra i tre e i sei mesi dopo il parto. Riguardo la sintomatologia della depressione postnatale paterna, questa può manifestarsi in modo differente rispetto alle donne e può risultare difficile da riconoscere in quanto i sintomi sono talvolta interpretati come naturale ansia per i cambiamenti sociali e le difficoltà economiche. Molti padri hanno timore di apparire ridicoli nel cercare attenzione rispetto ai propri bisogni e possono così rimandare a lungo la richiesta d’aiuto. I sintomi principali comprendono un alto livello di irritabilità e attacchi di rabbia, a cui spesso si aggiungono rigidità affettiva, autocritica, senso di colpa, sbalzi d’umore, ipersonnia, mancanza di fiducia, tristezza, stanchezza emotiva, ansia e/o attacchi di panico, dissociazione e apprensione.
Foto credits: Valentina Colmi
Maria Zaccagnino (2009), I disagi della maternità. Individuazione, prevenzione, trattamento, Franco Angeli, Milano
Fiorella Monti, Francesca Agostini (2006), La depressione post natale, Carocci, Roma
Valentina Colmi
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