“I had a black dog” è il titolo di un cortometraggio animato di Matthew Johnstone: mostra come la depressione sia una compagna fedele, esattamente come un cane nero, spaventoso e angosciante, che non ti lascia mai e che ti impedisce di vivere. Purtroppo di depressione non si parla mai abbastanza: può essere davvero invalidante, al pari di altre malattie che colpiscono il corpo. Perché la differenza sta proprio qui: mentre il disagio fisico è evidente, quello mentale non viene percepito come tale, perché è visibilmente invisibile.
Uso questo ossimoro perché penso che in realtà per chi ne soffre – e io che ho avuto la depressione post partum lo so bene – in realtà i segnali siano ben evidenti. Però forse la voce per chiedere aiuto è troppo flebile. Mi ha sempre colpito infatti la frase di chi viene intervistato dai media dopo una disgrazia in cui qualcuno si toglie la vita oppure la toglie a qualcun altro. Quasi sempre si dice che il protagonista della vicenda era “una persona normale”.
Ma cosa vuol dire normale? Essere depressi non significa uscire di senno, parlare da soli o vedere cose che non ci sono. All’esterno – come anche mamma Elisaaveva detto – nessuno sospetta nulla proprio perché a tranquillizzare basta l’aspetto di apparente calma. Forse allora sì che sarebbe meglio dar fuori di matto: significherebbe che qualcosa non va.
Io il mio Black Dog l’ho avuto e si chiamava depressione post partum. In realtà il “mio” cane non era orripilante, ma mi paralizzava ugualmente dalla paura. E se avessi dovuto dargli un nome lo avrei chiamato “Senso” diminutivo di “senso di colpa” che mi ha portato a vivere nella totale angoscia i primi tempi di maternità.
Soprattutto poi è sbagliatissimo pensare e dire a chi sta male che “è tutto nella sua testa”: quando si è malati si ha una visione del mondo molto personale e ovviamente negativa. Tutto è difficile, non c’è niente per cui valga la pena essere contenti e anche alzarsi alla mattina è uno sforzo al di là di ogni immaginazione. Cosa fare allora? Ascoltare senza giudicare e poi cercare di convincere quella persona a lasciare andare il guinzaglio del cane nero – tramite il ricorso alla psicoterapia – in modo che possa correre lontano e non trovarla mai più.
“I had a black dog”: il suo nome era depressione (post partum)
“I had a black dog” è il titolo di un cortometraggio animato di Matthew Johnstone: mostra come la depressione sia una compagna fedele, esattamente come un cane nero, spaventoso e angosciante, che non ti lascia mai e che ti impedisce di vivere. Purtroppo di depressione non si parla mai abbastanza: può essere davvero invalidante, al pari di altre malattie che colpiscono il corpo. Perché la differenza sta proprio qui: mentre il disagio fisico è evidente, quello mentale non viene percepito come tale, perché è visibilmente invisibile.
Uso questo ossimoro perché penso che in realtà per chi ne soffre – e io che ho avuto la depressione post partum lo so bene – in realtà i segnali siano ben evidenti. Però forse la voce per chiedere aiuto è troppo flebile. Mi ha sempre colpito infatti la frase di chi viene intervistato dai media dopo una disgrazia in cui qualcuno si toglie la vita oppure la toglie a qualcun altro. Quasi sempre si dice che il protagonista della vicenda era “una persona normale”.
Ma cosa vuol dire normale? Essere depressi non significa uscire di senno, parlare da soli o vedere cose che non ci sono. All’esterno – come anche mamma Elisa aveva detto – nessuno sospetta nulla proprio perché a tranquillizzare basta l’aspetto di apparente calma. Forse allora sì che sarebbe meglio dar fuori di matto: significherebbe che qualcosa non va.
Io il mio Black Dog l’ho avuto e si chiamava depressione post partum. In realtà il “mio” cane non era orripilante, ma mi paralizzava ugualmente dalla paura. E se avessi dovuto dargli un nome lo avrei chiamato “Senso” diminutivo di “senso di colpa” che mi ha portato a vivere nella totale angoscia i primi tempi di maternità.
Soprattutto poi è sbagliatissimo pensare e dire a chi sta male che “è tutto nella sua testa”: quando si è malati si ha una visione del mondo molto personale e ovviamente negativa. Tutto è difficile, non c’è niente per cui valga la pena essere contenti e anche alzarsi alla mattina è uno sforzo al di là di ogni immaginazione. Cosa fare allora? Ascoltare senza giudicare e poi cercare di convincere quella persona a lasciare andare il guinzaglio del cane nero – tramite il ricorso alla psicoterapia – in modo che possa correre lontano e non trovarla mai più.
Valentina Colmi
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