Prosegue il ciclo di interviste ad esperti che si occupano di depressione post partum. Oggi intervisto la Dottoressa Nicla Pannacciulli, psicologa e psicoterapeuta, che grazie alla sua esperienza maturata sia in Italia sia in Francia, si è specializzata nel trattamento di disturbi legati all’ansia e alla depressione. Offre inoltre supporto per ciò che riguarda problemi individuali, di coppia e genitoriali. Ecco quello che ha raccontato sulla sua esperienza legato alle donne e alla maternità.
Dott.ssa Pannacciulli, quando si può dire che una mamma soffre di depressione post partum?
La Depressione Post Partum è una forma di sofferenza lacerante ed insidiosa che s’insinua nella donna a volte in maniera inaspettata a volte attraverso qualche avvisaglia già negli ultimi mesi di gravidanza, colpendo sempre in modo profondo la mamma e il contesto intorno a lei.
Nella narrativa la Depressione Post Partum viene definita come “un ladro che ruba la maternità”: la rottura della simbiosi fisica in questo caso suscita nella donna un faticoso lavoro psicologico interiore di confronto tra fantasmi inconsci e realtà che sottrae energie all’esperienza stessa della maternità; come se ci fosse appunto un “furto emozionale”.
Nei manuali di classificazione delle psicopatologie quali il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) e l’ICD (International Statistical Classification of Diseases) la DPP è annoverata tra i Disturbi dell’Umore ed è caratterizzata da un quadro sintomatologico ben definito.
L’esordio avviene entro sei mesi dopo il parto; è caratterizzata dalla compresenza di sintomi fisici e psicologici quali sbalzi dell’umore, pianto improvviso e immotivato, perdita di concentrazione, elevato stato d’ansia (anche sotto forma di emicranie e dolori al petto), disturbi del sonno, disordine alimentare (inappetenza o smisurato appetito), sensazione di impotenza, sensazione di inadeguatezza al ruolo materno, preoccupazione per il bambino eccessiva e/o ingiustificata, o anche atarassia (mancanza di emozioni e di empatia) nei confronti del bambino, tendenza all’isolamento causata da un senso di “solitudine infinita”, senso di colpa.
Una donna che presenta a qualche settimana o mese dal parto taluni o tutti questi sintomi soffre di DPP.
La durata di questa forma depressiva varia da alcuni mesi a un anno o più e dipende dalla tempestività con cui si riconoscono i suoi sintomi e con cui si richiede un valido supporto professionale.
La depressione post partum può dipendere da fattori ambientali o sociali? Mi spiego: una mamma che ha un figlio in un ambiente culturale elevato, senza problemi economici può avere le stesse probabilità di ammalarsi di una che vive in una condizione più disagiata?
Non si tratta di una questione di latitudine o di società o di livello culturale o economico. La DPP, come altre forme depressive, è un Disturbo dell’Umore che può insorgere in soggetti provenienti da diversi paesi nel mondo, appartenenti alle varie classi sociali e culturali, con le più svariate caratteristiche fisiche, biologiche e psicologiche.
Dati statistici hanno rilevato che l’incidenza della DDP nei Paesi occidentali è del 15% e ad esserne colpite sono prevalentemente donne primipare tra i 30 e i 40 anni ; i dati però non sono correlati in maniera significativa ad elementi quali il livello economico o la fascia sociale di appartenenza.
Può forse stupire che mamme famose, che godono di successo, amore e benessere economico (Gwineth Paltrow, Brooke Shields, Camila Raznovich per citarne alcune) abbiano sofferto di questa forma depressiva; fa riflettere il fatto che abbiano fatto outing solo dopo esserne uscite…..un po’ come fanno le mamme “normali”. Ciò che accomuna queste donne è il fatto di considerare questa profonda e cupa tristezza legata alla maternità come qualcosa da censurare, da non mostrare agli altri perché in antitesi con la credenza sociale che “diventare madre è un dono bello e portatore di gioia”. In realtà la maternità, anche quella desiderata e cercata alacremente, quando arriva porta a degli scombussolamenti fisici ed esistenziali faticosi da affrontare, a cui non tutte le donne sanno reagire mantenendo un proprio equilibrio. E poco importa se sono donne che hanno mariti presenti, familiari affettuosi e disponibili, agiatezza economica e aiuti esterni: la DPP può investirle egualmente.
Sono altre le caratteristiche che connotano la donna che soffre o che è a rischio di Depressione Post Partum: predisposizione ai disturbi depressivi derivata da un’ereditarietà familiare, tipo di rapporto con le proprie figure genitoriali, esperienze traumatiche (abusi, lutti…), tendenza all’isolamento, scarsa autostima, qualità della rete familiare e sociale intorno a lei.
In particolare quest’ultimo aspetto ha molto peso. Nei primissimi tempi successivi al parto, il focus dell’attenzione altrui si sposta sul bebè e su ciò di cui esso ha bisogno, pertanto spesso la neo-mamma comincia ad essere trattata da genitori, suocere, parenti, amiche “che ci sono già passate” e tanti altri come una parabola a cui inviare delle istruzioni su come accudire il neonato. In tal caso può succedere che molti di questi messaggi vengano registrati dalla puerpera (o vengano trasmessi dai vari mittenti) con una valenza critica o ingerente o inopportuna o escludente e tutto ciò può destabilizzare molto lo stato dell’umore della mamma che li riceve, soprattutto se è una donna con degli aspetti di personalità fragili.
Nei contesti clinici si sente parlare di tipi di Depressione Post Partum: può darci spiegazioni più precise in merito?
In realtà è più corretto distinguere fra tre diversi tipi di disturbo depressivo durante il puerperio.
Il Baby Blues, o Maternity Blues, è la forma più lieve: corrisponde piuttosto ad uno stato malinconico transitorio, insorge a poca distanza dal parto, è caratterizzato da tristezza, crisi di pianto e sensazione di dipendenza e retrocede in poche settimane. I fattori scatenanti sono individuabili prevalentemente a livello fisico: un travaglio e un parto particolarmente stressanti, eventuali complicanze post partum (episiotomia estesa, allattamento difficoltoso,…), il rapido cambiamento ormonale, la comparsa dell’ansia legata alle nuove responsabilità. In termini psicologici il Baby Blues corrisponde ad un tempo di latenza affettivo in cui avviene la rottura del legame fusionale con il feto e s’instaurano le basi per la relazione col bambino reale ed i suoi bisogni . Non è richiesto alcun trattamento clinico per questo tipo di disturbo perché remissivo entro poche settimane dal parto; per la neo-mamma “in blues” informazioni adeguate, atteggiamento accogliente, rassicurazioni affettive e un concreto supporto nell’assetto del nuovo ménage domestico sono sufficienti.
La Depressione Post Partum è invece un vero e proprio disturbo dell’umore, contraddistinto per gravità e durata. I fattori scatenanti sono per lo più di origine psicologica e sociale e suscitano un forte disorientamento emotivo ed esperienziale nella puerpera. In particolare la convinzione interiore della neo-mamma di essere inadeguata a questo nuovo, grande e delicato compito incide profondamente sulla sua autostima e sulle sue capacità di prendersi cura di sé e del figlio. Un modo efficace di intervenire è aiutare la donna a riconoscere i sintomi della DPP e offrirle un adeguato supporto su più fronti. Non solo un aiuto pratico per gestire i nuovi ritmi a casa col bebè, ma anche un rinforzo fisico mediante integratori multivitaminici specifici e un adeguato supporto psicologico professionale; quest’ultimo è raccomandato specialmente nei casi in cui la sintomatologia si presenta in forma acuta o duratura o c’è il rischio che venga compromesso anche lo stato di salute dell’infante.
Infine la forma più grave di depressione post partum è la Psicosi Depressiva Puerperale: un vero e proprio disturbo psichiatrico che coincide con una severa alterazione dell’equilibrio psichico. Si manifesta in donne aventi un substrato biologico-genetico predisposto a questo tipo di patologia: laddove la gravidanza svolge un ruolo protettivo nei confronti delle psicosi, il parto funge da fattore scatenante. Molti i sintomi che caratterizzano la Psicosi Depressiva Puerperale: alterazioni timiche contrapposte (depressione, euforia, angoscia, atarassia), agitazione, insonnia, comportamento disorganizzato, disturbi del pensiero, deliri e allucinazioni. Il decorso dipende dalla personalità e dalle risorse interiori del soggetto, oltre che dal tipo di cure mediche adottate; oltre all’intervento farmacologico, spesso è indispensabile il ricovero.
Oltre alla cura, è possibile fare prevenzione della Depressione Post Partum ?
Assolutamente sì! Fin dal periodo della gestazione è possibile prevenire o quantomeno attenuare la manifestazioni della DPP agendo a livello psicologico e sociale, sia da parte della neo-mamma sia di chi le sta accanto.
È molto importante che la puerpera riceva sostegno dalla rete affettiva (partner, famigliari, amici) e clinica (ginecologa, ostetrica, puericultrice, ecc.) e che sia sollecitata ad esprimere i propri vissuti ed emozioni.
Il partner può rinforzare nella compagna un atteggiamento realistico nei confronti di sé stessa e del bambino e la consapevolezza che affronterà una situazione con alti e bassi, ma che può contare sul suo appoggio. Confrontarsi in generale con parenti e amici disponibili all’ascolto è un contributo prezioso per lei ed è fondamentale che si tratti di un ascolto non giudicante e accogliente anche dei sentimenti più cupi. In tal modo è possibile contrastare fin dall’inizio la censura di quegli aspetti bui che la maternità, attesa o avvenuta, suscita e che inficiano sull’elaborazione di un nuovo pezzo d’identità.
È fondamentale inoltre che la neo-mamma riceva informazioni chiare e sufficienti in sede di dimissioni dall’ospedale da parte del personale sanitario, non solo sugli aspetti di carattere fisico del post parto ma anche su quelli di carattere emotivo, con le relative indicazioni su come e dove poter usufruire di un eventuale supporto psicologico.
In ottica sia preventiva che curativa è fondamentale che la neo-mamma mantenga degli spazi solo per sé, che faccia qualcosa che non preveda la presenza del bebè e che sia piacevole e estraneo al ruolo di “angelo del focolare domestico”. Non si tratta quindi di uscire per fare la spesa o per acquistare qualcosa necessario al bebè o alla famiglia o per svolgere altre commissioni, ma proprio di staccare dalla routine e fare altro: sport, shopping, cinema, mostra, passeggiata, trattamento benessere, uscita con le amiche,….. anche se breve, è importante che si tratti di un’attività distraente, gratificante e che venga ripetuta con una certa frequenza. Non c’è nulla di banale o superfluo o colpevole nel comportarsi in tal modo, ma anzi ciò equivale a prendersi cura di sé stessa e quindi ad assicurarsi anche sufficienti energie mentali per prendersi cura del proprio figlio e famiglia. Tra l’altro, compiere un’attività piacevole stimola la produzione di endorfine, sostanze cerebrali aventi effetto analgesico ed euforizzante, che aiutano a contrastare la caduta a seguito del parto di quegli ormoni (estrogeni e progesterone) che durante la gravidanza contribuivano a dare quella sensazione di vitalità.
Un’altra forma di sostegno che può aiutare molto la neo-mamma a prevenire o affrontare la DPP è la Doula. Si tratta di una donna che si occupa di un’altra donna che è appena diventata madre o è in procinto di diventarlo. La doula non ha competenze sanitarie, ma si occupa dei bisogni fisici ed emozionali della donna nell’accompagnamento al travaglio e nel post-parto. Offre un supporto pratico occupandosi di cucinare per la neomamma, di aiutarla nella sua toilette e di svolgere piccole faccende domestiche; accoglie le emozioni della neomamma semplicemente con dolcezza e pazienza e le offre informazioni pratiche su come affrontare i cambiamenti della routine al suo ritorno a casa col bebé. Il compito della doula quindi è non solo alleggerire le incombenze che la neomamma si trova a dover affrontare, ma anche aiutarla a prendersi cura dei nuovi aspetti di sé stessa.
Sul piano psicologico, un efficace intervento di supporto può essere fatto sia durante la gestazione sia a seguito della nascita del bebè. Nei corsi di preparazione al parto è opportuno che sia dato ampio spazio alla discussione dei cambiamenti che quest’esperienza comporta, ossia il rapporto col proprio corpo che si trasforma, l’intimità di coppia, la relazione con la famiglia d’origine; trattandosi di elementi che hanno ripercussioni sulla identità della donna, è molto utile in ottica preventiva dare occasione alle partecipanti di sviscerare perplessità, domande ed emozioni. Quando si ravvisano evidenti segnali di un’elaborazione interiore della maternità di tipo critico e angosciante, è opportuno un supporto psicologico professionale. In tal caso il percorso psicoterapeutico è orientato ad accogliere le ambivalenze della donna e a riconoscere e mettere in discussione quelle idee e convinzioni che le suscitano inadeguatezza e sensi di colpa.
Quale percorso di cura propone alle donne con DPP presso il suo studio?
Ho cominciato a proporre un paio di anni fa dei seminari informativi sulla Depressione Post Partum ottenendo una partecipazione anche superiore alle mie aspettative; tendenzialmente ciò che emergeva era da una parte una confusione sui sintomi di questa patologia e la curiosità nell’indagare su un tabù sociale, dall’altra una sensazione di crescente intimità in un gruppo in cui ci si sentiva accolte nei propri lati oscuri.
Da queste ripetute esperienze di seminari, ho avviato un gruppo di sostegno per mamme che soffrono di DPP che conduco con un approccio misto tra il verbale e l’esperenziale, avvalendomi di tecniche derivate da vari orientamenti (Analisi Transazionale, Gestalt, Bioenergetica e Psicodinamica). Obiettivo di questi incontri è dare spazio a quegli aspetti psicologici dell’esperienza della maternità cupi che di norma vengono taciuti o censurati perché in contrasto col mito della “Madre Felice e Appagata”. Esprimerli in gruppo serve a dare ad essi un senso (diverso a seconda di ogni donna con la sua propria storia, certamente) e ad allontanare quell’angoscioso senso di solitudine che più di altri connota la DPP. Le tecniche di rilassamento e di consapevolezza psicofisica utilizzate stimolano la mobilitazione di risorse interiori sopite, che vengono pian piano orientate nel prendersi cura di quegli aspetti di sé con cui si è in conflitto. Nel complesso si può dire che si tratta di un percorso di cura espressivo che nutre il singolo attraverso la potenza rigenerante del gruppo.
In alternativa a questo tipo di percorso, laddove ci sia una specifica richiesta, seguo le pazienti con percorsi di psicoterapia individuale.
Recentemente inoltre ho avviato dei seminari in collaborazione con l’arteterapeuta Lorena Pais, specializzata in percorsi di sostegno espressivo per gestanti e madri, nei quali viene dato ampio spazio all’esperienza creativa come forma privilegiata per tradurre le emozioni attraverso forme e colori, di cui viene poi analizzata la valenza.
La depressione post partum? “Un ladro che ruba la maternità”
Prosegue il ciclo di interviste ad esperti che si occupano di depressione post partum. Oggi intervisto la Dottoressa Nicla Pannacciulli, psicologa e psicoterapeuta, che grazie alla sua esperienza maturata sia in Italia sia in Francia, si è specializzata nel trattamento di disturbi legati all’ansia e alla depressione. Offre inoltre supporto per ciò che riguarda problemi individuali, di coppia e genitoriali. Ecco quello che ha raccontato sulla sua esperienza legato alle donne e alla maternità.
Dott.ssa Pannacciulli, quando si può dire che una mamma soffre di depressione post partum?
La Depressione Post Partum è una forma di sofferenza lacerante ed insidiosa che s’insinua nella donna a volte in maniera inaspettata a volte attraverso qualche avvisaglia già negli ultimi mesi di gravidanza, colpendo sempre in modo profondo la mamma e il contesto intorno a lei.
Nella narrativa la Depressione Post Partum viene definita come “un ladro che ruba la maternità”: la rottura della simbiosi fisica in questo caso suscita nella donna un faticoso lavoro psicologico interiore di confronto tra fantasmi inconsci e realtà che sottrae energie all’esperienza stessa della maternità; come se ci fosse appunto un “furto emozionale”.
Nei manuali di classificazione delle psicopatologie quali il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) e l’ICD (International Statistical Classification of Diseases) la DPP è annoverata tra i Disturbi dell’Umore ed è caratterizzata da un quadro sintomatologico ben definito.
L’esordio avviene entro sei mesi dopo il parto; è caratterizzata dalla compresenza di sintomi fisici e psicologici quali sbalzi dell’umore, pianto improvviso e immotivato, perdita di concentrazione, elevato stato d’ansia (anche sotto forma di emicranie e dolori al petto), disturbi del sonno, disordine alimentare (inappetenza o smisurato appetito), sensazione di impotenza, sensazione di inadeguatezza al ruolo materno, preoccupazione per il bambino eccessiva e/o ingiustificata, o anche atarassia (mancanza di emozioni e di empatia) nei confronti del bambino, tendenza all’isolamento causata da un senso di “solitudine infinita”, senso di colpa.
Una donna che presenta a qualche settimana o mese dal parto taluni o tutti questi sintomi soffre di DPP.
La durata di questa forma depressiva varia da alcuni mesi a un anno o più e dipende dalla tempestività con cui si riconoscono i suoi sintomi e con cui si richiede un valido supporto professionale.
La depressione post partum può dipendere da fattori ambientali o sociali? Mi spiego: una mamma che ha un figlio in un ambiente culturale elevato, senza problemi economici può avere le stesse probabilità di ammalarsi di una che vive in una condizione più disagiata?
Non si tratta di una questione di latitudine o di società o di livello culturale o economico. La DPP, come altre forme depressive, è un Disturbo dell’Umore che può insorgere in soggetti provenienti da diversi paesi nel mondo, appartenenti alle varie classi sociali e culturali, con le più svariate caratteristiche fisiche, biologiche e psicologiche.
Dati statistici hanno rilevato che l’incidenza della DDP nei Paesi occidentali è del 15% e ad esserne colpite sono prevalentemente donne primipare tra i 30 e i 40 anni ; i dati però non sono correlati in maniera significativa ad elementi quali il livello economico o la fascia sociale di appartenenza.
Può forse stupire che mamme famose, che godono di successo, amore e benessere economico (Gwineth Paltrow, Brooke Shields, Camila Raznovich per citarne alcune) abbiano sofferto di questa forma depressiva; fa riflettere il fatto che abbiano fatto outing solo dopo esserne uscite…..un po’ come fanno le mamme “normali”. Ciò che accomuna queste donne è il fatto di considerare questa profonda e cupa tristezza legata alla maternità come qualcosa da censurare, da non mostrare agli altri perché in antitesi con la credenza sociale che “diventare madre è un dono bello e portatore di gioia”. In realtà la maternità, anche quella desiderata e cercata alacremente, quando arriva porta a degli scombussolamenti fisici ed esistenziali faticosi da affrontare, a cui non tutte le donne sanno reagire mantenendo un proprio equilibrio. E poco importa se sono donne che hanno mariti presenti, familiari affettuosi e disponibili, agiatezza economica e aiuti esterni: la DPP può investirle egualmente.
Sono altre le caratteristiche che connotano la donna che soffre o che è a rischio di Depressione Post Partum: predisposizione ai disturbi depressivi derivata da un’ereditarietà familiare, tipo di rapporto con le proprie figure genitoriali, esperienze traumatiche (abusi, lutti…), tendenza all’isolamento, scarsa autostima, qualità della rete familiare e sociale intorno a lei.
In particolare quest’ultimo aspetto ha molto peso. Nei primissimi tempi successivi al parto, il focus dell’attenzione altrui si sposta sul bebè e su ciò di cui esso ha bisogno, pertanto spesso la neo-mamma comincia ad essere trattata da genitori, suocere, parenti, amiche “che ci sono già passate” e tanti altri come una parabola a cui inviare delle istruzioni su come accudire il neonato. In tal caso può succedere che molti di questi messaggi vengano registrati dalla puerpera (o vengano trasmessi dai vari mittenti) con una valenza critica o ingerente o inopportuna o escludente e tutto ciò può destabilizzare molto lo stato dell’umore della mamma che li riceve, soprattutto se è una donna con degli aspetti di personalità fragili.
Nei contesti clinici si sente parlare di tipi di Depressione Post Partum: può darci spiegazioni più precise in merito?
In realtà è più corretto distinguere fra tre diversi tipi di disturbo depressivo durante il puerperio.
Il Baby Blues, o Maternity Blues, è la forma più lieve: corrisponde piuttosto ad uno stato malinconico transitorio, insorge a poca distanza dal parto, è caratterizzato da tristezza, crisi di pianto e sensazione di dipendenza e retrocede in poche settimane. I fattori scatenanti sono individuabili prevalentemente a livello fisico: un travaglio e un parto particolarmente stressanti, eventuali complicanze post partum (episiotomia estesa, allattamento difficoltoso,…), il rapido cambiamento ormonale, la comparsa dell’ansia legata alle nuove responsabilità. In termini psicologici il Baby Blues corrisponde ad un tempo di latenza affettivo in cui avviene la rottura del legame fusionale con il feto e s’instaurano le basi per la relazione col bambino reale ed i suoi bisogni . Non è richiesto alcun trattamento clinico per questo tipo di disturbo perché remissivo entro poche settimane dal parto; per la neo-mamma “in blues” informazioni adeguate, atteggiamento accogliente, rassicurazioni affettive e un concreto supporto nell’assetto del nuovo ménage domestico sono sufficienti.
La Depressione Post Partum è invece un vero e proprio disturbo dell’umore, contraddistinto per gravità e durata. I fattori scatenanti sono per lo più di origine psicologica e sociale e suscitano un forte disorientamento emotivo ed esperienziale nella puerpera. In particolare la convinzione interiore della neo-mamma di essere inadeguata a questo nuovo, grande e delicato compito incide profondamente sulla sua autostima e sulle sue capacità di prendersi cura di sé e del figlio. Un modo efficace di intervenire è aiutare la donna a riconoscere i sintomi della DPP e offrirle un adeguato supporto su più fronti. Non solo un aiuto pratico per gestire i nuovi ritmi a casa col bebè, ma anche un rinforzo fisico mediante integratori multivitaminici specifici e un adeguato supporto psicologico professionale; quest’ultimo è raccomandato specialmente nei casi in cui la sintomatologia si presenta in forma acuta o duratura o c’è il rischio che venga compromesso anche lo stato di salute dell’infante.
Infine la forma più grave di depressione post partum è la Psicosi Depressiva Puerperale: un vero e proprio disturbo psichiatrico che coincide con una severa alterazione dell’equilibrio psichico. Si manifesta in donne aventi un substrato biologico-genetico predisposto a questo tipo di patologia: laddove la gravidanza svolge un ruolo protettivo nei confronti delle psicosi, il parto funge da fattore scatenante. Molti i sintomi che caratterizzano la Psicosi Depressiva Puerperale: alterazioni timiche contrapposte (depressione, euforia, angoscia, atarassia), agitazione, insonnia, comportamento disorganizzato, disturbi del pensiero, deliri e allucinazioni. Il decorso dipende dalla personalità e dalle risorse interiori del soggetto, oltre che dal tipo di cure mediche adottate; oltre all’intervento farmacologico, spesso è indispensabile il ricovero.
Oltre alla cura, è possibile fare prevenzione della Depressione Post Partum ?
Assolutamente sì! Fin dal periodo della gestazione è possibile prevenire o quantomeno attenuare la manifestazioni della DPP agendo a livello psicologico e sociale, sia da parte della neo-mamma sia di chi le sta accanto.
È molto importante che la puerpera riceva sostegno dalla rete affettiva (partner, famigliari, amici) e clinica (ginecologa, ostetrica, puericultrice, ecc.) e che sia sollecitata ad esprimere i propri vissuti ed emozioni.
Il partner può rinforzare nella compagna un atteggiamento realistico nei confronti di sé stessa e del bambino e la consapevolezza che affronterà una situazione con alti e bassi, ma che può contare sul suo appoggio. Confrontarsi in generale con parenti e amici disponibili all’ascolto è un contributo prezioso per lei ed è fondamentale che si tratti di un ascolto non giudicante e accogliente anche dei sentimenti più cupi. In tal modo è possibile contrastare fin dall’inizio la censura di quegli aspetti bui che la maternità, attesa o avvenuta, suscita e che inficiano sull’elaborazione di un nuovo pezzo d’identità.
È fondamentale inoltre che la neo-mamma riceva informazioni chiare e sufficienti in sede di dimissioni dall’ospedale da parte del personale sanitario, non solo sugli aspetti di carattere fisico del post parto ma anche su quelli di carattere emotivo, con le relative indicazioni su come e dove poter usufruire di un eventuale supporto psicologico.
In ottica sia preventiva che curativa è fondamentale che la neo-mamma mantenga degli spazi solo per sé, che faccia qualcosa che non preveda la presenza del bebè e che sia piacevole e estraneo al ruolo di “angelo del focolare domestico”. Non si tratta quindi di uscire per fare la spesa o per acquistare qualcosa necessario al bebè o alla famiglia o per svolgere altre commissioni, ma proprio di staccare dalla routine e fare altro: sport, shopping, cinema, mostra, passeggiata, trattamento benessere, uscita con le amiche,….. anche se breve, è importante che si tratti di un’attività distraente, gratificante e che venga ripetuta con una certa frequenza. Non c’è nulla di banale o superfluo o colpevole nel comportarsi in tal modo, ma anzi ciò equivale a prendersi cura di sé stessa e quindi ad assicurarsi anche sufficienti energie mentali per prendersi cura del proprio figlio e famiglia. Tra l’altro, compiere un’attività piacevole stimola la produzione di endorfine, sostanze cerebrali aventi effetto analgesico ed euforizzante, che aiutano a contrastare la caduta a seguito del parto di quegli ormoni (estrogeni e progesterone) che durante la gravidanza contribuivano a dare quella sensazione di vitalità.
Un’altra forma di sostegno che può aiutare molto la neo-mamma a prevenire o affrontare la DPP è la Doula. Si tratta di una donna che si occupa di un’altra donna che è appena diventata madre o è in procinto di diventarlo. La doula non ha competenze sanitarie, ma si occupa dei bisogni fisici ed emozionali della donna nell’accompagnamento al travaglio e nel post-parto. Offre un supporto pratico occupandosi di cucinare per la neomamma, di aiutarla nella sua toilette e di svolgere piccole faccende domestiche; accoglie le emozioni della neomamma semplicemente con dolcezza e pazienza e le offre informazioni pratiche su come affrontare i cambiamenti della routine al suo ritorno a casa col bebé. Il compito della doula quindi è non solo alleggerire le incombenze che la neomamma si trova a dover affrontare, ma anche aiutarla a prendersi cura dei nuovi aspetti di sé stessa.
Sul piano psicologico, un efficace intervento di supporto può essere fatto sia durante la gestazione sia a seguito della nascita del bebè. Nei corsi di preparazione al parto è opportuno che sia dato ampio spazio alla discussione dei cambiamenti che quest’esperienza comporta, ossia il rapporto col proprio corpo che si trasforma, l’intimità di coppia, la relazione con la famiglia d’origine; trattandosi di elementi che hanno ripercussioni sulla identità della donna, è molto utile in ottica preventiva dare occasione alle partecipanti di sviscerare perplessità, domande ed emozioni. Quando si ravvisano evidenti segnali di un’elaborazione interiore della maternità di tipo critico e angosciante, è opportuno un supporto psicologico professionale. In tal caso il percorso psicoterapeutico è orientato ad accogliere le ambivalenze della donna e a riconoscere e mettere in discussione quelle idee e convinzioni che le suscitano inadeguatezza e sensi di colpa.
Quale percorso di cura propone alle donne con DPP presso il suo studio?
Ho cominciato a proporre un paio di anni fa dei seminari informativi sulla Depressione Post Partum ottenendo una partecipazione anche superiore alle mie aspettative; tendenzialmente ciò che emergeva era da una parte una confusione sui sintomi di questa patologia e la curiosità nell’indagare su un tabù sociale, dall’altra una sensazione di crescente intimità in un gruppo in cui ci si sentiva accolte nei propri lati oscuri.
Da queste ripetute esperienze di seminari, ho avviato un gruppo di sostegno per mamme che soffrono di DPP che conduco con un approccio misto tra il verbale e l’esperenziale, avvalendomi di tecniche derivate da vari orientamenti (Analisi Transazionale, Gestalt, Bioenergetica e Psicodinamica). Obiettivo di questi incontri è dare spazio a quegli aspetti psicologici dell’esperienza della maternità cupi che di norma vengono taciuti o censurati perché in contrasto col mito della “Madre Felice e Appagata”. Esprimerli in gruppo serve a dare ad essi un senso (diverso a seconda di ogni donna con la sua propria storia, certamente) e ad allontanare quell’angoscioso senso di solitudine che più di altri connota la DPP. Le tecniche di rilassamento e di consapevolezza psicofisica utilizzate stimolano la mobilitazione di risorse interiori sopite, che vengono pian piano orientate nel prendersi cura di quegli aspetti di sé con cui si è in conflitto. Nel complesso si può dire che si tratta di un percorso di cura espressivo che nutre il singolo attraverso la potenza rigenerante del gruppo.
In alternativa a questo tipo di percorso, laddove ci sia una specifica richiesta, seguo le pazienti con percorsi di psicoterapia individuale.
Recentemente inoltre ho avviato dei seminari in collaborazione con l’arteterapeuta Lorena Pais, specializzata in percorsi di sostegno espressivo per gestanti e madri, nei quali viene dato ampio spazio all’esperienza creativa come forma privilegiata per tradurre le emozioni attraverso forme e colori, di cui viene poi analizzata la valenza.
Valentina Colmi
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