In Treatment 2, si parla di depressione post partum nella storia di Irene

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Mi sono appassionata ad In Treatment. Per chi non lo sapesse è il remake italiano dell’omonima serie tv israeliana poi portata al successo nel 2008 da Hbo con Gabriel Byrne come protagonista. Qui da noi è Sergio Castellitto a vestire i panni del terapeuta Giovanni Mari: siamo alla seconda stagione e i nuovi personaggi in analisi hanno – come nella prima – storie molto difficili e forti.

La prima serie a dir la verità non l’ho vista con assiduità. Per una strana coincidenza, è andata in onda a partire dal 1 aprile 2013, circa 2 settimane prima dalla nascita di Paola. All’epoca la guardai un po’ e pensai – scusate il francesismo – “quante cazzate”. Invece poi come sapete ho cambiato idea.

Per chi come me sta andando in terapia, devo dire che le parole del dottor Mari sono verosimili, almeno per quella che è la mia esperienza. In questa serie il ruolo della madre è affrontato un po’ in tutte le sue facce: c’è la mamma del dottor Mari (mai vista, solo evocata), segnata dalla depressione dopo l’abbandono del marito per un’altra; Lea, madre fragile e infelice che non sa come comportarsi con il figlio Mattia; la madre di Elisa, anche lei sempre evocata, ma caratterizzata come una figura irrisolta dalle parole della figlia. Infine c’è Irene e il rapporto complicato tra il suo desiderio di essere mamma e chi l’ha cresciuta.

Senza fare troppi spoiler, nella puntata della sesta settimana dedicata a Irene, la donna ha parlato del fatto che la madre dopo averla avuta è sprofondata in una profonda depressione: non la poteva vedere, non la voleva allattare e solo dopo un anno ne è uscita.  Dopo questo periodo di tempo – secondo ciò che le aveva raccontato la madre – il rapporto tra lei bambina e suo padre – che nel frattempo si era occupato di lei per tutto – si era fatto così intenso da non riuscire più ad inserirsi. “Si è arresa” ha detto Irene. E poi ha aggiunto: “Stronza: mia madre racconta solo un sacco di bugie per coprire le sue mancanze”.

Ecco, io ho avuto paura che Paola quando sarà grande possa parlare di me così. Perché anche se cerco ogni giorno di recuperare, magari dentro di sé sentirà che in quei primi fondamentali momenti io non ci sono stata.

Lei è molto attaccata a suo papà e forse a volte le dò l’impressione di non badare troppo a lei. Di non provarci abbastanza. Molto spesso non ho pazienza, non ho voglia di giocare con lei perché sono esausta. Provo a farlo lo stesso, a esserci nonostante tutto. Delle volte però è davvero dura, soprattutto quando non si dorme e ci si deve occupare di due figlie da soli (per fortuna ci dividiamo il lavoro). Ho paura che mi chiamerà così, “stronza”, perché non sono stata in grado di amarla quando dovevo e anche adesso mi antepongo a lei – a volte – per sopravvivere.

Foto credits: © Marta Spedaletti / © Sky / © Wildside

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