Non è vero che le madri lo sanno.
Ieri sono stata dalla mia psicologa per il nostro incontro mensile; ormai, più che una seduta di psicoterapia è diventato un momento in cui mi alleggerisco delle mie “scarpe pesanti”. Sono giorni piuttosto impegnativi – anzi settimane impegnative – e delle volte ho proprio l’impressione di non farcela più.
Non è però di questo che vi vorrei parlare, ma di una riflessione che ho fatto da quello che mi ha detto:
“Noi nei corsi pre parto parliamo di depressione”
“Meno male, dove l’ho fatto io c’era il corso integrativo e comunque non mi sembra di averla mai sentita nominare”
“Però molte future mamme non ne vogliono sentire parlare”
“E come mai?”
“Perché dicono che non è il momento, perché sono felici“.
Ecco. Io mi sono resa conto che le donne a volte non capiscono un tubo. Dire: “non ne parliamo adesso” è come affermare “no, tanto a me non capita”. Un rifiuto del genere è frutto di paura, di ignoranza, di incapacità di prendere in considerazione anche la parte negativa della maternità? Dalla mia esperienza ho capito che un’ambivalenza nei confronti di un figlio non solo è normale, ma anche sana, perché permette di elaborare veramente l’avventura sconvolgente della genitorialità.
A volte penso che non sia l’offerta ad essere insufficiente, ma la nostra capacità di ascoltare e di accogliere la parte più dura della vita. La sofferenza, il dolore, la morte fanno parte dell’esistenza. Capisco che quando si sta aspettando una nascita, non possiamo tollerare che qualcosa vada per il verso sbagliato. Io stessa non potevo neanche prendere in considerazione la depressione post partum. Perché mi sentivo superiore. Perché credevo di aver capito tutto.
E invece non sapevo niente. Perciò spero che l’educazione alla maternità cominci molto presto, ma non nei corsi pre parto, no. Già a scuola, tra i banchi, a fianco di quella sessuale. Le future donne devono poter capire, ragionarci sopra, anche se l’idea di un figlio non è neanche tra i loro pensieri.
Non, decisamente non è vero che le madri sanno.
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Maria
Ottimo post! Grazie per avermelo segnalato. Personalmente sono sconvolta dal fatto che non è solo parlando di “depressione” che si incontra una certa omertà e ostilità… il problema non è limitato alla paura generata da una parola forte… basta molto meno… basta ventilare l’ipotesi che si potrebbe “star male” o aver bisogno di molto aiuto nella gestione del bambino (aiuto pratico, non psicologico). Eppure sembrerebbe intuitivo, no? Supponi di affidare a un uomo, che ha appena avuto un’operazione chirurgica o comunque un evento stressante che cambia significativamente il suo corpo e la percezione di sé e la percezione che agli altri hanno di lui, la cura di un neonato 24h, continuativamente, spesso da solo, dormendo poco… è difficile che stia proprio al top, no? Perlomeno sarà molto stanco e un po’ triste e nervoso e si sentirà solo… anche se non scivola nella depressione, è oggettivamente vulnerabile e in una situazione a rischio. Messa così sembra un’ovvietà, anche facile da prevedere… ma a quanti dà fastidio dirlo in riferimento a una neomamma…!