Questi sono giorni molto tristi visto che sto leggendo di tutto sulla ragazza di Trieste che ha partorito e affidato a morte certa la sua bambina. Il tema dell’infanticidio è sempre molto complesso e non essendo un clinico non posso certamente dare delle motivazioni psicologiche sul perché si sceglie di compiere certi gesti. Quello che so è che in questi fatti di cronaca i giornalisti spesso scrivono senza aver alcuna preparazione sull’argomento, scegliendo termini e raccontando i fatti con una superficialità spesso fatale. Per esempio chi soffre di depressione post partum non è che compie dei gesti estremi verso i propri figli, anzi quasi mai. A dirlo non io ma i dati emersi dall‘inchiesta scritta da me e Paola Maraone sulla DPP uscita su Gioia! lo scorso anno: “i figlicidi in Italia sono una ventina all’anno, le madri depresse 50.000 – ma di depressione madri (e figli) comunque soffrono”.
Dire che una madre depressa sicuramente potrebbe trasformarsi in un mostro è errato. Sarebbe come dire che tutte le persone depresse vogliono suicidarsi. Si tratta di una serie di componenti che hanno origine molto prima – sia di natura biologica sia psichica e probabilmente trascurate – e che poco secondo me hanno a che fare con la premeditazione.
Non mi sento di entrare nel merito dei fatti di Trieste, ma una cosa mi prendo la libertà di dirla ugualmente. E’ fondamentale, vitale – mai come in questo caso bisogna utilizzare questo termine – che la figura dello psicologo scolastico venga istituita obbligatoriamente nelle scuole. Non è sufficiente uno sportello di counseling di cui poco o nulla si conosce. No. Bisogna che la figura del terapeuta sia istituita secondo me già dalle scuole medie, quando si entra nella pre adolescenza e i cambiamenti sono enormi. E’ proprio di questi giorni la notizia di una ragazzina (bambina?) di 11 anni che ha tentato il suicidio a scuola.
Io che ho scoperto la terapia tardi grazie – è proprio il caso di dirlo – alla depressione post partum posso solo dire che è ora di smetterla con lo stigma sociale legato a chi va dallo psicologo o psichiatra. Nel caso della maternità direi che è sacrosanto seguire un percorso: si dovrebbe cominciare appunto da poco più che bambine per fare in modo che si acquisisca una consapevolezza del proprio corpo e delle conseguenze che possono derivarne. Non solo: si potrebbero imparare a riconoscere e a gestire con strumenti diversi a seconda dell’età dei comportamenti famigliari che possono provocare delle cicatrici future. Parallelamente sarebbe necessario che anche i genitori facessero un percorso perché è dalla famiglia che spesso nascono le tragedie più impensabili, a causa dei non detti, dei silenzi, dei gesti d’amore negati.
Qualcuno potrebbe obbiettare che sarebbe troppo costoso. Io dico: potrebbe essere così, ma sarebbe sempre meno di una vita spezzata ancora prima di avere il diritto di farlo.
Depressione post partum e infanticidio: che legame c’è?
Questi sono giorni molto tristi visto che sto leggendo di tutto sulla ragazza di Trieste che ha partorito e affidato a morte certa la sua bambina. Il tema dell’infanticidio è sempre molto complesso e non essendo un clinico non posso certamente dare delle motivazioni psicologiche sul perché si sceglie di compiere certi gesti. Quello che so è che in questi fatti di cronaca i giornalisti spesso scrivono senza aver alcuna preparazione sull’argomento, scegliendo termini e raccontando i fatti con una superficialità spesso fatale. Per esempio chi soffre di depressione post partum non è che compie dei gesti estremi verso i propri figli, anzi quasi mai. A dirlo non io ma i dati emersi dall‘inchiesta scritta da me e Paola Maraone sulla DPP uscita su Gioia! lo scorso anno: “i figlicidi in Italia sono una ventina all’anno, le madri depresse 50.000 – ma di depressione madri (e figli) comunque soffrono”.
Dire che una madre depressa sicuramente potrebbe trasformarsi in un mostro è errato. Sarebbe come dire che tutte le persone depresse vogliono suicidarsi. Si tratta di una serie di componenti che hanno origine molto prima – sia di natura biologica sia psichica e probabilmente trascurate – e che poco secondo me hanno a che fare con la premeditazione.
Non mi sento di entrare nel merito dei fatti di Trieste, ma una cosa mi prendo la libertà di dirla ugualmente. E’ fondamentale, vitale – mai come in questo caso bisogna utilizzare questo termine – che la figura dello psicologo scolastico venga istituita obbligatoriamente nelle scuole. Non è sufficiente uno sportello di counseling di cui poco o nulla si conosce. No. Bisogna che la figura del terapeuta sia istituita secondo me già dalle scuole medie, quando si entra nella pre adolescenza e i cambiamenti sono enormi. E’ proprio di questi giorni la notizia di una ragazzina (bambina?) di 11 anni che ha tentato il suicidio a scuola.
Io che ho scoperto la terapia tardi grazie – è proprio il caso di dirlo – alla depressione post partum posso solo dire che è ora di smetterla con lo stigma sociale legato a chi va dallo psicologo o psichiatra. Nel caso della maternità direi che è sacrosanto seguire un percorso: si dovrebbe cominciare appunto da poco più che bambine per fare in modo che si acquisisca una consapevolezza del proprio corpo e delle conseguenze che possono derivarne. Non solo: si potrebbero imparare a riconoscere e a gestire con strumenti diversi a seconda dell’età dei comportamenti famigliari che possono provocare delle cicatrici future. Parallelamente sarebbe necessario che anche i genitori facessero un percorso perché è dalla famiglia che spesso nascono le tragedie più impensabili, a causa dei non detti, dei silenzi, dei gesti d’amore negati.
Qualcuno potrebbe obbiettare che sarebbe troppo costoso. Io dico: potrebbe essere così, ma sarebbe sempre meno di una vita spezzata ancora prima di avere il diritto di farlo.
Foto credits: Pixabay
Valentina Colmi
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