E’ passato circa un mese dall’aborto. Come sto? Sinceramente non bene. Non riesco bene a confrontarmi con le emozioni che mi vengono addosso. Ho fatto una prima seduta di terapia e non è che mi abbia aiutato gran che. Forse perché non sono nella giusta predisposizione d’animo o forse perché la forza la devo trovare anche dentro di me e non posso sperare che ci sia una soluzione solo esterna che magicamente rimetta tutto al proprio ordine.
In questo momento non riesco a sopportare nessuna donna incinta. E invece le vedo ovunque. Mi viene da piangere ogni volta, il magone, divento nervosa e chi mi sta parlando diventa solo un paio di labbra che si muovono. Non vedo più niente, non ascolto più niente. Penso solo a quei pancioni rotondi, a quelle facce piene, a quelle andature un po’ dondolanti che fanno tanta tenerezza.
L’altro giorno stavo leggendo un articolo di Barbara Summa per genitoricrescono.com intitolato “L’aborto è un lutto” in cui si dice una sacrosanta verità:
“Ma è sempre uguale, è sempre lo stesso. Che sia il dolore di una pancia vuota in cui un bambino proprio non vuole innestarsi. Di quel bambino che magari ci prova, ma poi ci ripensa e lascia perdere. O quando sei tu che non puoi farlo nascere. Di quel bambino che ti nasce, ma una malattia, un incidente, una disgrazia e non ce l’hai più. Sono tutti lo stesso dolore, non ce n’è uno più grosso o uno più piccolo”.
Ho avuto di nuovo il ciclo e purtroppo – visto che l’aborto non era completo – ho dovuto ripassare nella stessa situazione dell’altra volta e assistere di nuovo ad un’espulsione (a varie per la verità). Non avete idea di come ci si senta, senza contare che ogni volta che s’incontra una donna “panciuta” io mi sento colpevole: dopo la diagnosi di aborto ho portato con me il mio bimbo senza vita per qualche giorno. Come si fa a non sentirsi distrutte da tutto ciò?
Come fate voi che siete vicino alla donna a non rendervi conto di quanto ci sia bisogno del dolore per poter assistere ad una rinascita? Questo negare, questo dire “te lo devi lasciare alle spalle”, questo far finta di niente possono essere anche frutto di un’incapacità della gestione di un’emozione così grande, ma da qualche parte il disagio si dovrà pur manifestare: nel mio caso con una brutta bronchite, che – ne sono convinta – è determinata dallo stare male.
Non so, forse è ancora troppo presto, però che palle.
E’ passato un mese dal mio aborto: come è trascorso questo tempo
E’ passato circa un mese dall’aborto. Come sto? Sinceramente non bene. Non riesco bene a confrontarmi con le emozioni che mi vengono addosso. Ho fatto una prima seduta di terapia e non è che mi abbia aiutato gran che. Forse perché non sono nella giusta predisposizione d’animo o forse perché la forza la devo trovare anche dentro di me e non posso sperare che ci sia una soluzione solo esterna che magicamente rimetta tutto al proprio ordine.
In questo momento non riesco a sopportare nessuna donna incinta. E invece le vedo ovunque. Mi viene da piangere ogni volta, il magone, divento nervosa e chi mi sta parlando diventa solo un paio di labbra che si muovono. Non vedo più niente, non ascolto più niente. Penso solo a quei pancioni rotondi, a quelle facce piene, a quelle andature un po’ dondolanti che fanno tanta tenerezza.
L’altro giorno stavo leggendo un articolo di Barbara Summa per genitoricrescono.com intitolato “L’aborto è un lutto” in cui si dice una sacrosanta verità:
“Ma è sempre uguale, è sempre lo stesso. Che sia il dolore di una pancia vuota in cui un bambino proprio non vuole innestarsi. Di quel bambino che magari ci prova, ma poi ci ripensa e lascia perdere. O quando sei tu che non puoi farlo nascere. Di quel bambino che ti nasce, ma una malattia, un incidente, una disgrazia e non ce l’hai più. Sono tutti lo stesso dolore, non ce n’è uno più grosso o uno più piccolo”.
Ho avuto di nuovo il ciclo e purtroppo – visto che l’aborto non era completo – ho dovuto ripassare nella stessa situazione dell’altra volta e assistere di nuovo ad un’espulsione (a varie per la verità). Non avete idea di come ci si senta, senza contare che ogni volta che s’incontra una donna “panciuta” io mi sento colpevole: dopo la diagnosi di aborto ho portato con me il mio bimbo senza vita per qualche giorno. Come si fa a non sentirsi distrutte da tutto ciò?
Come fate voi che siete vicino alla donna a non rendervi conto di quanto ci sia bisogno del dolore per poter assistere ad una rinascita? Questo negare, questo dire “te lo devi lasciare alle spalle”, questo far finta di niente possono essere anche frutto di un’incapacità della gestione di un’emozione così grande, ma da qualche parte il disagio si dovrà pur manifestare: nel mio caso con una brutta bronchite, che – ne sono convinta – è determinata dallo stare male.
Non so, forse è ancora troppo presto, però che palle.
Valentina Colmi
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