I fatti di cronaca di questi giorni non possono non farmi pensare a quanto sia difficile – a volte insopportabile – essere madre. Prima la mamma di Loris, poi la donna russa che ha dichiarato di aver affogato il proprio figlio di 9 mesi tra le acque della Liguria. Cosa sta succedendo?
Mi hanno colpito molto le parole della scrittrice Simona Vinci che sulla pagina personale di Facebook ha scritto: “nonostante l’orrore e l’angoscia e la paura che, come a tutti, provocano in me storie di cronaca che raccontano gesti estremi compiuti da una madre penso che dovremmo fare silenzio, smettere la toga del giudice, arrenderci all’evidenza dell’abisso che purtroppo può aprirsi dentro un essere umano. Non parlo di pietà, non parlo di empatia, parlo di pudore“.
Pudore. Apro il dizionario e leggo tra i significati: “estens. Ritegno, vergogna, discrezione, senso di opportunità e di rispetto della sensibilità altrui”. Io non giustifico – sia chiaro – gesti così estremi, ma provo a capire. Certo, il primo pensiero è che non esistono motivi sufficienti per compiere un infanticidio. E’ vero: non ce ne sono, però credo che queste madri, ognuna con la sua storia, sia stata a proprio modo profondamente ed infinitamente sola. E la solitudine, credetemi, è la bestia più subdola che possa esistere.
Perché quando ci si sente sole e si sta sole tutto il giorno con il proprio bambino mentre sembra che tutti abbiano una vita al di fuori di te, cominci a percepire tuo figlio – che magari avevi anche tanto desiderato – come un ostacolo alla tua libertà. Ci sono donne, come lo ero io, che non sono preparate a essere madri. O perché lo diventano improvvisamente o perché per il proprio passato (o presente, magari per la mancanza di un compagno) non riescono a conciliare la loro nuova identità.
La mamma di Loris ha una storia difficile, mentre la donna russa forse non era più legata al padre di suo figlio. Ripeto, non è giustificabile, ma quando non hai accanto nessuno a cui gridare che stai male, l’unica via possibile ti sembra una sola per non affogare nell’abisso. Non dimentichiamoci che ancora oggi per molte donne è difficile chiederlo questo aiuto. Perché pensano di essere delle cattive madri o perché – ancora peggio – non lo sanno che si può. Non c’è adeguata informazione, non c’è adeguata prevenzione.
Da qui secondo me la fondamentale importanza dei corsi pre parto: non si tratta solo di momenti in cui si parla di tutine, cambio di pannolini, allattamento e via discorrendo, ma di incontri fondamentali per la mamma e i papà sui cambiamenti profondi a cui andranno incontro, sull’emotività. Per questo bisognerebbe dare più spazio alle emozioni, anche negative, alle paure delle future mamme e se ci sono situazioni di rischio segnalarle allo psicologo per iniziare -prima – un percorso terapeutico. Qualcuno già lo fa, ma è la minoranza.
Quando vogliamo cominciare a cambiare le cose? Perché dalla depressione post partum non si guarisce andando in vacanza.
Foto credits: Gisella Congia