Colazione da Rebecca. È questo il nome scelto dal Dott. Antonio Picano, dirigente psichiatra, presidente di Strade Onlus e ideatore del progetto Rebecca Blues, per un evento molto particolare. Si tratta di un appuntamento mensile gratuito aperto a tutte le donne che vogliono approfondire i vari aspetti della gravidanza e del Post Partum, depressione compresa, ma non solo. Un evento che si svolge lontano dalle stanze d’ospedale, in un luogo piacevole come Eataly Roma, di sabato all’ora della colazione. Il prossimo appuntamento è fissato per sabato 7 marzo alle 11 (registrazione dal sito www.stradeonlus.it) e si concentrerà sul tema della sessualità durante la gravidanza e nel Post Partum.
Oltre a questo, ho intervistato nuovamente il Professor Picano su un tema molto delicato: gli infanticidi. Ecco quello che ha raccontato.
Professore, alla base di tutto il suo progetto, di cui questa iniziativa è solo un aspetto, c’è un mistero da risolvere. Un quesito a cui non riusciamo a rispondere, ma che la cronaca purtroppo continua a riproporci: perché una madre uccide il proprio bambino?
Perché considera quel gesto una soluzione che, nella pur evidente paradossalità, è in grado di risolvere un problema troppo grande per essere affrontato. Non si tratta di una madre malvagia (benché le sue responsabilità siano enormi), ma di una persona convinta, in qualche modo, di poter porre fine a una sofferenza; e che nutre per il figlio una profonda preoccupazione.
Come in tutti i comportamenti di questo tipo, l’atto repressivo genera, al suo termine, un grande sollievo. Certo, per noi è incomprensibile che una madre possa essere felice di estirpare le sofferenze del figlio uccidendolo. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che, in relazioni di questo genere, sperimenta un totale senso di incapacità, al punto da sentire la propria stessa vita minacciata dall’inadeguatezza ad accudire il figlio.
Non le sembra che il suo ragionamento giustifichi l’operato di queste persone?
Nessuno vuol ignorare l’ampiezza del problema dal punto di vista etico e morale. Sussiste, indubbiamente, come accennavo prima, la responsabilità personale, ovvero la dimensione della scelta. Tuttavia, bisogna anche riconoscere alcuni automatismi che agiscono in maniera non controllata dalla coscienza e interferiscono con la volontà della persona, pur senza annullarla mai del tutto. Tali automatismi traggono la loro origine da meccanismi di protezione arcaici: la madre, convinta di non poter più vivere assieme al figlio e che le risorse non siano sufficienti per entrambi, elimina il figlio, nella speranza di poter, almeno lei, sopravvivere.
Quali sono i “campanelli d’allarme” prima di giungere a un gesto tanto estremo?
La madre inizia a sviluppare un sentimento di avversione che, per quanto estraneo alla sua volontà, interferisce con il suo pensiero. In lei convivono due nature: una cerca di amare il figlio con la propria libertà, l’altra insinua l’idea che il figlio sia un oggetto (e non più una persona) da eliminare. Un intruso nella propria esistenza.
Ci sono segnali riconoscibili dall’esterno, dalle persone vicine alla madre?
Difficilmente gli altri potrebbero percepirli. Queste mamme provano profonda vergogna per i propri pensieri repressivi e cercano di nasconderli a tutti, anzitutto a se stesse; tant’è vero che, normalmente, il gesto estremo avviene in maniera del tutto imprevista. Gli unici segnali avvertibili, eventualmente, vanno ricercati nella difficoltà relazionali, sia con il partner, sia con il figlio, ovvero nell’incrinarsi del rapporto a causa di una chiusura eccessiva o di assenza di comunicazione e progettualità.
Cosa può fare la famiglia per prevenire situazioni di questo genere?
Anzitutto, se la donna, in passato è già passata attraverso la depressione va messa sotto osservazione medica, anche nell’ottica di programmare una gravidanza che sia sotto stretto controllo. Se inizia a manifestare segni di depressione nel corso della gravidanza, occorre esser capaci di porla in osservazione psichiatrica senza farsi condizionare dalle emozioni e dal timore del dispiacere che si potrebbe provocarle: si tratta, al contrario, di un atto d’amore e di carità nei suoi confronti; dopo il parto, il problema si complica.
Esiste un vero e proprio momento critico durante la gravidanza o nel Post Partum?
La fase critica è tra i 30 e i 60 giorni successivi alla nascita del figlio. In questo periodo, è fondamentale il sostegno del partner, anche se la mamma non lo chiede esplicitamente. D’altra parte, è il periodo più critico anche per l’uomo che, in virtù dei propri meccanismi psicologici di protezione e fuga, potrebbe mettersi alla ricerca di altre relazioni. E’ in questa fase, in definitiva, che si gioca il consolidamento della relazione di coppia attraverso l’inserimento del figlio nel proprio progetto di vita.
Di tutto questo, si discute in Colazione da Rebecca?
Colazione da Rebecca è un gesto che promuove la cultura della maternità, mettendo a tema le sue problematiche, quali l’alleanza coniugale o il progetto di vita legato ai figli. Abbiamo scelto come sede dell’evento Eataly, perché Eataly rappresenta il “mercato”, ovvero il contesto tipico del vivere in comune, dove la gente si incontra liberamente. L’idea si sta rivelando vincente: le persone si confrontano volentieri sui temi che proponiamo e, in particolare, quelle donne che, decidendo di spogliarsi del proprio ruolo sociale per assumere quello di mamma, hanno il desiderio di parlare e confrontarsi con altre mamme. Non dimentichiamo, in ogni caso, che Colazione da Rebecca fa parte di un progetto più grande, Rebecca Blues.
Di cosa si tratta?
Di un progetto nato per mettere la donna nelle condizioni di chiedere aiuto nel momento del bisogno, quando cade preda della depressione prima, durante o dopo il parto. Rebecca Blues vuol corrispondere a un amico, alla persona cioè, maggiormente in grado di riconoscere le esigenze della donna (spesso, più del partner e dei familiari), tanto più se, come in questo caso, è una figura professionale medica.
Attraverso Rebecca Blues, che è anche un social network disponibile per piattaforme mobile (e scaricabile dal sito www.rebeccablues.com) viene potenziato il rapporto tra il medico di fiducia e la donna: la madre si impegna a compilare regolarmente dei test e se qualcosa non va, il medico viene allertato automaticamente. In questo modo, si aggira un meccanismo frequente e strutturale.
Quale?
La donna, spesso, non chiede aiuto perché si vergogna. Per chi può raggiungere Roma facilmente comunque presso l’Ospedale San Camillo lo sportello per tutte le donne in gravidanza e per le neomamme è aperto ogni martedì e giovedì dalle 11 alle 13. Bastano 10 minuti per fare insieme un test di autovalutazione completamente gratuito. Qua sotto la locandina:
“Colazione da Rebecca”: un nuovo appuntamento per parlare di depressione post partum
Colazione da Rebecca. È questo il nome scelto dal Dott. Antonio Picano, dirigente psichiatra, presidente di Strade Onlus e ideatore del progetto Rebecca Blues, per un evento molto particolare. Si tratta di un appuntamento mensile gratuito aperto a tutte le donne che vogliono approfondire i vari aspetti della gravidanza e del Post Partum, depressione compresa, ma non solo. Un evento che si svolge lontano dalle stanze d’ospedale, in un luogo piacevole come Eataly Roma, di sabato all’ora della colazione. Il prossimo appuntamento è fissato per sabato 7 marzo alle 11 (registrazione dal sito www.stradeonlus.it) e si concentrerà sul tema della sessualità durante la gravidanza e nel Post Partum.
Oltre a questo, ho intervistato nuovamente il Professor Picano su un tema molto delicato: gli infanticidi. Ecco quello che ha raccontato.
Professore, alla base di tutto il suo progetto, di cui questa iniziativa è solo un aspetto, c’è un mistero da risolvere. Un quesito a cui non riusciamo a rispondere, ma che la cronaca purtroppo continua a riproporci: perché una madre uccide il proprio bambino?
Perché considera quel gesto una soluzione che, nella pur evidente paradossalità, è in grado di risolvere un problema troppo grande per essere affrontato. Non si tratta di una madre malvagia (benché le sue responsabilità siano enormi), ma di una persona convinta, in qualche modo, di poter porre fine a una sofferenza; e che nutre per il figlio una profonda preoccupazione.
Come in tutti i comportamenti di questo tipo, l’atto repressivo genera, al suo termine, un grande sollievo. Certo, per noi è incomprensibile che una madre possa essere felice di estirpare le sofferenze del figlio uccidendolo. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che, in relazioni di questo genere, sperimenta un totale senso di incapacità, al punto da sentire la propria stessa vita minacciata dall’inadeguatezza ad accudire il figlio.
Non le sembra che il suo ragionamento giustifichi l’operato di queste persone?
Nessuno vuol ignorare l’ampiezza del problema dal punto di vista etico e morale. Sussiste, indubbiamente, come accennavo prima, la responsabilità personale, ovvero la dimensione della scelta. Tuttavia, bisogna anche riconoscere alcuni automatismi che agiscono in maniera non controllata dalla coscienza e interferiscono con la volontà della persona, pur senza annullarla mai del tutto. Tali automatismi traggono la loro origine da meccanismi di protezione arcaici: la madre, convinta di non poter più vivere assieme al figlio e che le risorse non siano sufficienti per entrambi, elimina il figlio, nella speranza di poter, almeno lei, sopravvivere.
Quali sono i “campanelli d’allarme” prima di giungere a un gesto tanto estremo?
La madre inizia a sviluppare un sentimento di avversione che, per quanto estraneo alla sua volontà, interferisce con il suo pensiero. In lei convivono due nature: una cerca di amare il figlio con la propria libertà, l’altra insinua l’idea che il figlio sia un oggetto (e non più una persona) da eliminare. Un intruso nella propria esistenza.
Ci sono segnali riconoscibili dall’esterno, dalle persone vicine alla madre?
Difficilmente gli altri potrebbero percepirli. Queste mamme provano profonda vergogna per i propri pensieri repressivi e cercano di nasconderli a tutti, anzitutto a se stesse; tant’è vero che, normalmente, il gesto estremo avviene in maniera del tutto imprevista. Gli unici segnali avvertibili, eventualmente, vanno ricercati nella difficoltà relazionali, sia con il partner, sia con il figlio, ovvero nell’incrinarsi del rapporto a causa di una chiusura eccessiva o di assenza di comunicazione e progettualità.
Cosa può fare la famiglia per prevenire situazioni di questo genere?
Anzitutto, se la donna, in passato è già passata attraverso la depressione va messa sotto osservazione medica, anche nell’ottica di programmare una gravidanza che sia sotto stretto controllo. Se inizia a manifestare segni di depressione nel corso della gravidanza, occorre esser capaci di porla in osservazione psichiatrica senza farsi condizionare dalle emozioni e dal timore del dispiacere che si potrebbe provocarle: si tratta, al contrario, di un atto d’amore e di carità nei suoi confronti; dopo il parto, il problema si complica.
Esiste un vero e proprio momento critico durante la gravidanza o nel Post Partum?
La fase critica è tra i 30 e i 60 giorni successivi alla nascita del figlio. In questo periodo, è fondamentale il sostegno del partner, anche se la mamma non lo chiede esplicitamente. D’altra parte, è il periodo più critico anche per l’uomo che, in virtù dei propri meccanismi psicologici di protezione e fuga, potrebbe mettersi alla ricerca di altre relazioni. E’ in questa fase, in definitiva, che si gioca il consolidamento della relazione di coppia attraverso l’inserimento del figlio nel proprio progetto di vita.
Di tutto questo, si discute in Colazione da Rebecca?
Colazione da Rebecca è un gesto che promuove la cultura della maternità, mettendo a tema le sue problematiche, quali l’alleanza coniugale o il progetto di vita legato ai figli. Abbiamo scelto come sede dell’evento Eataly, perché Eataly rappresenta il “mercato”, ovvero il contesto tipico del vivere in comune, dove la gente si incontra liberamente. L’idea si sta rivelando vincente: le persone si confrontano volentieri sui temi che proponiamo e, in particolare, quelle donne che, decidendo di spogliarsi del proprio ruolo sociale per assumere quello di mamma, hanno il desiderio di parlare e confrontarsi con altre mamme. Non dimentichiamo, in ogni caso, che Colazione da Rebecca fa parte di un progetto più grande, Rebecca Blues.
Di cosa si tratta?
Di un progetto nato per mettere la donna nelle condizioni di chiedere aiuto nel momento del bisogno, quando cade preda della depressione prima, durante o dopo il parto. Rebecca Blues vuol corrispondere a un amico, alla persona cioè, maggiormente in grado di riconoscere le esigenze della donna (spesso, più del partner e dei familiari), tanto più se, come in questo caso, è una figura professionale medica.
Attraverso Rebecca Blues, che è anche un social network disponibile per piattaforme mobile (e scaricabile dal sito www.rebeccablues.com) viene potenziato il rapporto tra il medico di fiducia e la donna: la madre si impegna a compilare regolarmente dei test e se qualcosa non va, il medico viene allertato automaticamente. In questo modo, si aggira un meccanismo frequente e strutturale.
Quale?
La donna, spesso, non chiede aiuto perché si vergogna. Per chi può raggiungere Roma facilmente comunque presso l’Ospedale San Camillo lo sportello per tutte le donne in gravidanza e per le neomamme è aperto ogni martedì e giovedì dalle 11 alle 13. Bastano 10 minuti per fare insieme un test di autovalutazione completamente gratuito. Qua sotto la locandina:
Valentina Colmi
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