‘Una donna su 7 soffre di depressione post partum e solo una su quattro chiede aiuto. Non solo, chi ne fa le spese sono sempre i figli’.
Un invito a colazione, di sabato mattina, in un luogo accogliente e in compagnia di altre mamme. È questa la piccola grande rivoluzione di “Colazione da Rebecca”, un’iniziativa lanciata da Strade onlus per affrontare il tema della depressione post partum in modo innovativo.
Un ciclo di incontri che si inserisce all’interno di un progetto più ampio, “Rebecca Blues” (presentato in ottobre in un grande convegno scientifico in Campidoglio, alla presenza del ministro Lorenzin), che punta tutto sulla formazione dei diversi soggetti in gioco: dai medici di base ai ginecologi, dalle mamme fino ai padri e agli altri componenti della famiglia.
L’idea è a vocazione nazionale, ma i primi passi si stanno muovendo a Roma. Sabato 22 novembre il secondo appuntamento (dalle 11 alle 13) si svolgerà a Eataly, che offrirà gratuitamente, come di consueto, la colazione a tutti i partecipanti.
Il Dott. Antonio Picano, dirigente psichiatra dell’Ospedale San Camillo di Roma e presidente di Strade Onlus, ci racconta com’è nata questa idea e come vuole proseguire la sua avventura.
Perché affrontare il tema della depressione post partum con una strategia a più livelli che tra le altre cose comprende anche un social network?
Dopo più di vent’anni di lavoro su questi temi in veste di medico, mi sono reso conto che i tentativi di risposta a questa problematica si rivelavano spesso velleitari e incapaci di offrire una risposta globale. L’esperienza di Strade Onlus e i numerosi tentativi, nel tempo, ci hanno permesso di elaborare una strategia a 360 gradi.
In estrema sintesi, l’approccio originale consiste nella formazione di tutti i soggetti coinvolti e in particolar modo delle mamme, prima che il problema si manifesti. Questo significa rendere coscienti le donne di ciò che potrà accadere durante e dopo una gravidanza, dotarle di uno strumento di rafforzamento dell’alleanza medico-paziente come il social network Rebecca Blues (scaricabile all’indirizzo www.rebeccablues.com) con il quale potranno monitorare la loro situazione e chiedere aiuto. Ma un approccio di questo tipo vuol dire anche invitare le mamme a confidarsi a colazione in un luogo accogliente, lontano da ospedali e consultori.
Secondo lei, gli operatori sanitari sono adeguatamente formati per parlare di Depressione post partum?
Non abbastanza, ma non per colpa loro. È come se ci fosse un gap da colmare. La donna viene seguita con grande professionalità fino al parto e ogni operatore sanitario fa la propria parte.
Se però parliamo di depressione post partum, voi sapete bene che i problemi possono avere inizio proprio quando si torna a casa e la mamma viene gradualmente lasciata sola, come se tutto fosse risolto.
I dati ci dicono che non è così: una donna su 7 soffre di depressione post partum (chiaramente con un grado di gravità diverso) e solo una su quattro chiede aiuto. Non solo, chi ne fa le spese sono sempre i figli che subiscono dei danni a livello di quoziente intellettivo più basso e di comportamenti violenti sviluppati in età adulta.
Come si colma questo divario?
Ricostruendo quello che noi chiamiamo il Patto di Rebecca, ovvero l’alleanza medico-paziente. Per questo il social network Rebecca Blues è stato pensato come uno strumento che faciliti il rapporto tra i due soggetti e non come un accessorio.
Oltre al Patto di Rebecca è poi necessaria un’alleanza tra la madre e il proprio partner. A partire da queste premesse è chiaro che ogni approccio che non tenga conto di tutti i soggetti in gioco è destinato a fallire. Serve una formazione specifica e un’assistenza globale.
Di depressione post partum si parla abbastanza?
Direi di no. Purtroppo il tema viene trattato solo quando avviene una tragedia. L’infanticidio è la punta di un iceberg di dolore che non riceve cura. Fortunatamente però si verifica molto raramente.
Dobbiamo invertire questa tendenza, anche se non fa notizia. E i siti come il vostro danno un grande contributo in questo senso. Non possiamo aspettarci che una donna che è già caduta nel tunnel della depressione chieda aiuto: è strutturalmente impossibile per lei, il senso di colpa e la vergogna per la sua condizione le impediscono di farlo.
Che ruolo hanno secondo lei la società e la famiglia?
Spesso, oltre a non riconoscere il problema, lo aggravano, colpevolizzando una persona che invece ha bisogno di essere curata. D’altronde è un circolo vizioso: meno si conosce questa malattia e meno si riesce a intervenire e a curare in maniera efficace. Rebecca Blues è un tentativo di rompere questo meccanismo.
Iniziando da una colazione?
Esatto, sabato 22 novembre ci incontreremo di nuovo, continuando un ciclo di incontri di due sabati al mese, gratuito, libero e piacevole. Un momento in cui è interessantissimo assistere al confronto tra diverse generazioni di mamme (registrazione su www.stradeonlus.it).
Non si tratta di un corso e nessuno si permette di analizzare l’esperienza dell’altro. È qualcosa di diverso. Venite a vedere!
Combattere la depressione post partum partendo da una colazione
‘Una donna su 7 soffre di depressione post partum e solo una su quattro chiede aiuto. Non solo, chi ne fa le spese sono sempre i figli’.
Un invito a colazione, di sabato mattina, in un luogo accogliente e in compagnia di altre mamme. È questa la piccola grande rivoluzione di “Colazione da Rebecca”, un’iniziativa lanciata da Strade onlus per affrontare il tema della depressione post partum in modo innovativo.
Un ciclo di incontri che si inserisce all’interno di un progetto più ampio, “Rebecca Blues” (presentato in ottobre in un grande convegno scientifico in Campidoglio, alla presenza del ministro Lorenzin), che punta tutto sulla formazione dei diversi soggetti in gioco: dai medici di base ai ginecologi, dalle mamme fino ai padri e agli altri componenti della famiglia.
L’idea è a vocazione nazionale, ma i primi passi si stanno muovendo a Roma. Sabato 22 novembre il secondo appuntamento (dalle 11 alle 13) si svolgerà a Eataly, che offrirà gratuitamente, come di consueto, la colazione a tutti i partecipanti.
Il Dott. Antonio Picano, dirigente psichiatra dell’Ospedale San Camillo di Roma e presidente di Strade Onlus, ci racconta com’è nata questa idea e come vuole proseguire la sua avventura.
Perché affrontare il tema della depressione post partum con una strategia a più livelli che tra le altre cose comprende anche un social network?
Dopo più di vent’anni di lavoro su questi temi in veste di medico, mi sono reso conto che i tentativi di risposta a questa problematica si rivelavano spesso velleitari e incapaci di offrire una risposta globale. L’esperienza di Strade Onlus e i numerosi tentativi, nel tempo, ci hanno permesso di elaborare una strategia a 360 gradi.
In estrema sintesi, l’approccio originale consiste nella formazione di tutti i soggetti coinvolti e in particolar modo delle mamme, prima che il problema si manifesti. Questo significa rendere coscienti le donne di ciò che potrà accadere durante e dopo una gravidanza, dotarle di uno strumento di rafforzamento dell’alleanza medico-paziente come il social network Rebecca Blues (scaricabile all’indirizzo www.rebeccablues.com) con il quale potranno monitorare la loro situazione e chiedere aiuto. Ma un approccio di questo tipo vuol dire anche invitare le mamme a confidarsi a colazione in un luogo accogliente, lontano da ospedali e consultori.
Secondo lei, gli operatori sanitari sono adeguatamente formati per parlare di Depressione post partum?
Non abbastanza, ma non per colpa loro. È come se ci fosse un gap da colmare. La donna viene seguita con grande professionalità fino al parto e ogni operatore sanitario fa la propria parte.
Se però parliamo di depressione post partum, voi sapete bene che i problemi possono avere inizio proprio quando si torna a casa e la mamma viene gradualmente lasciata sola, come se tutto fosse risolto.
I dati ci dicono che non è così: una donna su 7 soffre di depressione post partum (chiaramente con un grado di gravità diverso) e solo una su quattro chiede aiuto. Non solo, chi ne fa le spese sono sempre i figli che subiscono dei danni a livello di quoziente intellettivo più basso e di comportamenti violenti sviluppati in età adulta.
Come si colma questo divario?
Ricostruendo quello che noi chiamiamo il Patto di Rebecca, ovvero l’alleanza medico-paziente. Per questo il social network Rebecca Blues è stato pensato come uno strumento che faciliti il rapporto tra i due soggetti e non come un accessorio.
Oltre al Patto di Rebecca è poi necessaria un’alleanza tra la madre e il proprio partner. A partire da queste premesse è chiaro che ogni approccio che non tenga conto di tutti i soggetti in gioco è destinato a fallire. Serve una formazione specifica e un’assistenza globale.
Di depressione post partum si parla abbastanza?
Direi di no. Purtroppo il tema viene trattato solo quando avviene una tragedia. L’infanticidio è la punta di un iceberg di dolore che non riceve cura. Fortunatamente però si verifica molto raramente.
Dobbiamo invertire questa tendenza, anche se non fa notizia. E i siti come il vostro danno un grande contributo in questo senso. Non possiamo aspettarci che una donna che è già caduta nel tunnel della depressione chieda aiuto: è strutturalmente impossibile per lei, il senso di colpa e la vergogna per la sua condizione le impediscono di farlo.
Che ruolo hanno secondo lei la società e la famiglia?
Spesso, oltre a non riconoscere il problema, lo aggravano, colpevolizzando una persona che invece ha bisogno di essere curata. D’altronde è un circolo vizioso: meno si conosce questa malattia e meno si riesce a intervenire e a curare in maniera efficace. Rebecca Blues è un tentativo di rompere questo meccanismo.
Iniziando da una colazione?
Esatto, sabato 22 novembre ci incontreremo di nuovo, continuando un ciclo di incontri di due sabati al mese, gratuito, libero e piacevole. Un momento in cui è interessantissimo assistere al confronto tra diverse generazioni di mamme (registrazione su www.stradeonlus.it).
Non si tratta di un corso e nessuno si permette di analizzare l’esperienza dell’altro. È qualcosa di diverso. Venite a vedere!
Fonte foto – Ufficio Stampa Strade Onlus
Valentina Colmi
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