#bastatacere: è davvero informazione?
In questi giorni sta imperversando sui social il movimento #bastatacere dove si incoraggiano le donne a raccontare in forma anonima della violenza ostetrica che hanno subìto durante il parto. Spesso si parla della nascita come di un momento magico e meraviglioso – e per molte lo è per carità – ma quando le cose vanno male si tenta – almeno ad oggi – di non dirlo. Quasi come se ci si vergognasse perché il proprio corpo non è stato in grado di avere un travaglio veloce e di aver partorito senza epidurale.
Molto spesso un parto “sbagliato” può portare ad un trauma. Io stessa ne sono stata vittima con Paola: non so ancora cosa sia successo, ma l’anestesia non aveva avuto effetto e io ho sentito tagliarmi la pancia. Un dolore che non si può dimenticare, non si può. E intanto mi dicevano di stare ferma.
Per fortuna è arrivata Vittoria a rimettermi in pace con la mia parte arrabbiata. Da donna che ha avuto la depressione post partum, credo che #bastatacere sia un’iniziativa lodevole, perché squarcia un velo su alcune realtà molto gravi di cui non si parla. Insomma, fornisce un’informazione. Però la fornisce a me che la so già, nel senso che ho già un vissuto che mi permette di leggerla in un determinato modo.
Ma chi sta aspettando un bambino come dovrebbe comportarsi? Accettare l’informazione, cominciare a soffrire di ansia prima ancora di partorire, dire “le solite esagerate”, fare spallucce? Secondo me dei racconti così violenti rischiano di creare l’effetto opposto, ovvero di rifiuto totale da parte di chi è incinta. E’ giusto non tacere, condividere dei momenti che si è vissuti in solitudine, ma neanche far passare il messaggio che se sei fortunata farai un buon parto, altrimenti rimarrai segnata a vita.
Non mi pare di aver letto delle repliche da parte di ginecologi e ostetriche (no, di qualcuna sì). Quello che dovrebbe premerci è la salute della donna, farla partecipare al suo parto, mettere lei al centro dell’evento. E’ vero che noi non conosciamo le situazioni che vivono i medici negli ospedali, però c’è da chiedersi come mai ci sia così tanto terrore nelle parole di chi ha deciso di condividere la propria storia.
Forse è più sicuro tornare a partorire in casa?
Foto credits: Pixabay
Erika
Ecco cara Valentina,
è stato proprio il mio secondo pensiero: quanta vita avrà l’assistenza sanitaria ospedaliera dopo tutto questo?
Certo, anche porsi il problema di terrorizzare le future mamme è indice di possedere una certa attenzione e sensibilità. Ma qui si entra in un territorio complicato perché le brutture accadono e forse, sapendolo, quella futura mamma farà altre riflessioni e progettera’ in un altro modo il suo parto. Sarà meno ignara.
Penso che questa campagna abbia il merito di svelare ciò che immaginavamo, ma che (almeno io) non immaginavamo tanto diffuso. C’è il tentativo di restituire alla donna il suo ruolo centrale, ma senza quella assistenza alla quale si sta auspicando che ce ne facciamo della nostra centralità? Lo potremo mai davvero essere (centrali) senza un’assistenza adeguata e rispettosa?
Per quanto esistono molte realtà adeguate e di rispetto, tuttavia non tutte abbiamo loro accesso. E lì di solito si invoca la fortuna…
Credo sia un processo più lungo di una campagna su fb
Un processo anche culturale, soprattutto culturale, col quale ammettere che, al di là della mala sanità che va punita ed estirpata, il parto è un processo di natura insito di pericoli e sul quale non se ne avrà mai pieno controllo.
Generare la vita non implica più la morte e l’imprevisto: abbiamo tutte la nostra data presunta del parto (dove presunta significa certa) e attendiamo.
L’incertezza rispetto alla maternità non è più contemplata da quando la medicalizzazione fa i suoi miracoli (e qualche volta li fa davvero!).
Forse è in questa zona di pensiero che dovremmo riflettere.
Un abbraccio!
E.
Valentina Colmi
Ciao Erika! La mia ultima frase era una provocazione: penso che comunque si possa partorire in casa solo se la gravidanza sia fisiologica e con l’aiuto di più ostetriche (che sono pagate, quindi è ovvio che ti assistano meglio). Penso però che raccontare così, mettendo solo paura, non aiuti a stare meglio.
Erika
Anche io penso che, alle mamme che lo desiderano, vada data l’opportunità di partorire in casa: ci sono moltissime testimonianze di ‘nascite dolci’.
Tuttavia non comprendo il significato di gravidanza ‘fisiologica’. Cioè, tutto è fisiologico finchè non si trasforma in qualcos’altro… l’urgenza è sempre possibile e il fatto di essere ormai a termine senza avere riscontrato mai anomalie, non offre alcuna certezza, ma solo un buona probabilità che le cose proseguano per il verso giusto.
Perciò penso che il parto in casa vada soppesato e attentamente scelto poiché partorire non coinvolge solo la mamma… coinvolge almeno tre persone e poi un’intera cerchia familiare.
Occorre attenzione e consapevolezza della scelta, occorre informarsi e informarsi adeguatamente. Insomma, trovo che sia pur sempre anch’essa una scelta impegnativa, in tutti i sensi.
Per quanto riguarda la campagna di #bastatacere, non credo che lo scopo fosse di informare, piuttosto di denunciare e credo che siano riusciti a realizzare il loro intento pienamente. Hanno voluto rompere con la consuetudine e si sa: a rompere un po’ di polvere si alza… Credo che stia a noi, in questo modo, cioè parlandone e cercando un senso, un modo per rimediare, o solo tentando di capire, delineare una certa informazione, raccogliere la polvere e fare in modo che si ristabilisca un certo ‘ordine’. Grazie! Un caro abbraccio!!!
Maria
Cara Valentina, in teoria è ovvio che una persona pagata dovrebbe aiutarti meglio, è quello che ho sempre dato per scontato anch’io. Dino a quando ho sentito certe storie (che so per certo essere vere) di certi ginecologi profumatamente pagati… e un parto in casa (di cui racconto sotto) in cui le ostetriche si sono comportate malissimo. Insomma le persone possono sorprendere…
Valentina Colmi
Ciao Maria, grazie per i tuoi interventi! Qualche tempo fa lessi un libro bellissimo, “Chiamate la levatrice”, scritto proprio da un’ostetrica in pensione che raccontava gli esordi della sua professione. All’epoca – stiamo parlando degli anni ’50 – era più sicuro partorire in casa, tant’è che quando le donne sentivano nominare l’ospedale sapevano che probabilmente avrebbero rischiato la vita. Oggi non è più così, fortunatamente: ci sono tante strutture amiche delle donne e per questo secondo me fare resoconti di bassa macelleria per dire “guardate che se andate in ospedale potrebbe capitarvi questo” non aiuta nessuno. Io stessa ho subìto un trauma e sono d’accordo che non bisogna tacere, ma neanche fare terrorismo. Come sempre io sono da parte dell’onestà: si dovrebbe dire nei corsi pre parto che il parto non è quel momento magico che ti dipingono, che fa male, che il dolore aiuta ma se una vuole l’epidurale che le venga garantita, che probabilmente ci sarà bisogno di un intervento se le cose non procedono. Per me la questione è a monte: quanto non viene detto a chi deve partorire? Quanto non si informano le future mamme e quanto viceversa le neo mamme preferiscono non sapere o affidarsi ai racconti di facebook?
Francesca
La verità va detta e tutta.
Pazienza se lo legge qualche donna in attesa, ma a mio parere, ha diritto di sapere e di scappare a scegliere una struttura che le possa assicurare tutta la serenità e l’assistenza che merita.
Questo penso io.
Buona serata.
Valentina Colmi
Grazie Francesca per il tuo pensiero. E’ vero quel che dici: però spesso per avere un’ottima assistenza bisogna pagare. Ti sembra giusto?
Maria
Finalmente, una che si rende conto dei danni collaterali che certi racconti rischiano di provocare!
Denunciare è sacrosanto, ma farlo in maniera random, in una pagina FB pubblica, non è l’ideale. Tra l’altro i racconti (a mio avviso quasi tutti veritieri anche se certi tipi di pagine con contenuti emotivi forti e non verificabili non mancano mai di attirare mitomani) non menzionano strutture sanitarie né nomi degli eventuali macellai coinvolti. Ciò per ovvi motivi legali: o si affrontano i responsabili a muso duro e si intenta una causa, cosa che quasi nessuna vittima trova la forza emotiva di fare, oppure tocca saggiamente tacere per proteggersi da una causa per diffamazione. Mi pare anche che la pagina abbia un preciso intento: promuovere il parto in casa, pratica la cui sicurezza non è stata dimostrata (il famoso studio olandese ovunque citato è stato smentito da uno studio successivo, sempre olandese). Conosco due persone che hanno partorito in casa: C. ed E. Allora, C. che ha avuto “l’esperienza più bella della sua vita” (e ha scelto di avere altri figli sempre in casa, e ha chiamato una delle figlie come l’ostetrica che l’ha seguita). Invece E. a momenti schiattava, lei e il bambino, trattata in modo a dir poco disumano e irresponsabile dalle ostetriche che lei pagava e per fortuna salvata dai medici. Insomma può capitare di tutto, anche in casa. Un altro effetto collaterale della pagina è l’eccesso di egualitarismo. Come tu giustamente dici, c’è una tendenza ad ostentare eventuali esperienze di “parto naturale” e di allattamento. Alcuni racconti sono agghiaccianti, sembrano stupri, o tentativi di omicidio. Non è giusto che vengano pubblicati accanto a storie di donne che si sono sentite personalmente oltraggiate dalla gentile ed educata offerta di un’epidurale, da un biberon di latte artificiale, o da una battuta ironica in risposta alla richiesta di consegna della placenta (!). No, non è tutto uguale. Non è vero che la violenza è quello che la donna percepisce come violenza, o meglio, è vero solo in parte, non dobbiamo ricadere in un soggettivismo radicale.