Depressione post partum e il mio primo incontro con la psicoterapia
Prima di ammalarmi di depressione post partum non avevo mai frequentato uno psicologo o psicoterapeuta. Anzi: pensavo che chi ci va probabilmente aveva del gran tempo da perdere, tanti soldi da buttare oppure stava seguendo una moda. Sapete com’è: in tanti si vantano di aver raggiunto uno stato di pseudo equilibrio magari dopo “tanti anni di analisi”.
Invece – siccome a volte sono una persona superficiale – giudicavo senza conoscere. Non avevo avuto fino a quel momento un motivo reale per aver bisogno seriamente di aiuto, ma mi ergevo lo stesso alla sapientona di turno. Per questo ho attraversato tutte le varie fasi di rifiuto quando ho capito che da sola non potevo farcela: “Se vado dallo psicologo sono una pazza”, “Se vado dallo psicologo sono una cattiva madre perché non sono riuscita ad amare mia figlia“. Non è stata una decisione semplice chiedere per la prima volta n sostegno. Però venivo da un’estate e da tre mesi precedenti in cui ogni volta che guardavo Paola non sapevo bene come comportarmi con lei: la amavo? non la amavo? la sentivo mia solo a tratti e facevo fatica a non considerarla un’estranea.
A fine agosto 2013 ho incontrato per la prima volta la mia psicoterapeuta. Me la immaginavo come una professoressa con la “erre” arrotata e un tomo sui trattati di Jung. insomma: il peggio dei cliché. Invece mi sono sentita a mio agio, ci siamo date subito del “tu” e ho avuto la sensazione di essere finalmente arrivata nel posto giusto.
Da cosa l’ho capito? Dal fatto che non mi sono trattenuta e sono scoppiata a piangere: tutto la rabbia, la frustrazione, la delusione di quei mesi avevano finalmente trovato uno sfogo che avesse un senso. Non è mica facile lasciarsi andare di fronte ad una persona sconosciuta. E dopo un’ora e mezza di racconto mi sono sentita leggera.
“A volte penso che se non ci fosse mia figlia sarebbe tutto più semplice”. “Questo è poco ma sicuro”.
Ecco: questa frase che la mia psicoterapeuta mi ha detto mi ha fatto capire che potevo anche perdonarmi per certi pensieri. Che la stanchezza, l’ansia, le difficoltà forse avevano un loro perché. Come dice Cristina Yang nell’episodio 17 della 10 stagione di Grey’s Anatomy: “A volte basta una persona, un’occasione, un momento per cambiare la tua vita per sempre”. E forse da lì è incominciata la mia rinascita.
elisa
mi hai commosso e fatto sorridere! Al mio primo incontro con la psicoterapeuta (maggio 2013) lei mi chiese: quanti mesi ha suo figlio?, le risposi: quasi tre.
E allora lei mi disse una cosa che mi ha liberato, che mi ha aiutato ad iniziare la guarigione. Mi disse: dai che l’inferno è quasi passato. Te lo avevano detto che i primi tre mesi sono un inferno, vero?
E invece io credevo di dover essere felice, senza se e senza ma.
Che bello aver incontrato il tuo blog, Valentina!!!
Valentina Colmi
Ciao Elisa, come hai ragione! Anche io pensavo di dover essere solo felice e invece per diverso tempo mi sono sentita una cattiva madre. E grazie a te per essermi venuta a trovare:)
Emanuel
Un caro salute a tutte, sono Emanuel e curo da poco tempo un blog dedicato alla mia vita come papà. Mi permetto di lanciare uno spunto di riflessione, provando a raccontare la depressione post partum in un’ottica maschile.
Ciò che mi sento di dire a voi è prima di tutto una cosa: perdonateci. Perdonateci se talvolta non comprendiamo. Ve lo assicuro, l’impegno c’è e l’amore ancor di più. Ma in alcuni momenti rischiamo di perderci, noi che in fondo abbiamo sempre visto in voi un’àncora di salvezza. Sì, perché per noi siete tutto: siete fonti della vita, le madri dei nostri figli, le persone che più di chiunque altro sono riuscite a scavare nella nostra anima per scovare aspetti di cui non immaginavamo l’esistenza.
Non lo nascondo: quando è nata mia figlia io stesso mi sono fatto qualche mese di psicoterapia. Depressione esistenziale, disse il dottore. Aveva ovviamente ragione: una persona come me, tranquilla ma quasi mai realmente serena, era stata sbattuta dal vento e lasciata in qualche modo sola. O almeno credevo fosse così. Non ero riuscito a stare vicino nel modo giusto alla mia compagna, non intenzionalmente s’intende. Ma ciò che ci rende quello che siamo sono sì i nostri sentimenti, ma anche le nostre azioni. E allora davvero, gettiamo il cuore oltre l’ostacolo e lasciamoci andare. Care donne, noi vi amiamo. Vi abbiamo amate con le caviglie gonfie, vi abbiamo amate quando – sul lettino del parto – vi stringevamo la mano. E vi ameremo anche quanto sarete diverse da oggi. Magari con qualche ruga in più, ma in quelle pieghe riusciremo a scovare i lineamenti che abbiamo sempre voluto accanto.
Lo ammetto, mi sono un po’ perso nei meadri del discorso. E allora vi saluto e vi auguro buon proseguimento.
Emanuel
http://nomeincodicepapa.com/