“Se vuoi non vengo. Mi basta inventare la scusa del mal di testa e nessuno si domanderà perché non ci sono”. Questo è il messaggio che ho ricevuto da una delle mie più care amiche per la festa di Paola. E’ incinta e sa che ultimamente vedere pance in giro non mi fa sentire proprio tranquilla. Credo che dimostri la sua sensibilità e anche purtroppo la mia ancora poca dimestichezza con l’argomento.
Per questo ne ho parlato con la mia terapeuta e lei mi ha detto una cosa molto importante: “Non importa se tu fossi solo di 6 settimane. Tu sei in lutto“. Ecco sono in lutto. Le ho parlato della mia difficoltà a legittimare il dolore, perché di fatto forse lo considero poco importante, visto che non mi sono presa tempo e spazio per attraversarlo.
E per uscirne, per vedere di nuovo con serenità una pancia, devo attraversarlo, è l’unico modo per andare avanti. Qualche giorno fa ho letto di Ariel Levy – una scrittrice americana – che ha scritto un libro intitolato “The Rules Do Not Apply“, presto edito anche in Italia. Queste regole che non sono state applicate sono quelle del corpo, il suo, che ha avuto un aborto al 5 mese di gravidanza. Ha partorito suo figlio nel bagno di un hotel in Africa dove si trovava per lavoro e lo ha fotografato: “Solo così avevo la certezza che sarebbe realmente vissuto”. Perché per tutti – tranne che per lei – quel bambino non essendo mai nato, di fatto non è stato una perdita da considerare.
Anche per me è la stessa cosa. Se non tenessi il test di gravidanza, probabilmente farei ancora più fatica a non considerare l’aborto come un sogno, come qualcosa di sospeso che – per quel che ne so vista la capacità altrui di dimenticare – posso essermi solo immaginata.
E allora stanotte, mentre per la centesima volta mi sono alzata a dare l’acqua a Vittoria, mi è venuto in mente il quadro di Frida Kahlo che secondo me rende meglio di tutte le immagini il dolore per la perdita, lei che ha coltivato il sogno di diventare madre e che invece non ci è mai riuscita soffrendo terribilmente. Una perdita che deve ricevere una sua dignità e che deve essere ricordata. Io non voglio scordarmi del bambino che non avrò più. Voglio considerarlo uno dei miei figli. E se nessuno se ne accorge, è giusto che cominci a farlo io.
Su Frida Kahlo e l’aborto. Perché non si deve fare finta di dimenticare
“Se vuoi non vengo. Mi basta inventare la scusa del mal di testa e nessuno si domanderà perché non ci sono”. Questo è il messaggio che ho ricevuto da una delle mie più care amiche per la festa di Paola. E’ incinta e sa che ultimamente vedere pance in giro non mi fa sentire proprio tranquilla. Credo che dimostri la sua sensibilità e anche purtroppo la mia ancora poca dimestichezza con l’argomento.
Per questo ne ho parlato con la mia terapeuta e lei mi ha detto una cosa molto importante: “Non importa se tu fossi solo di 6 settimane. Tu sei in lutto“. Ecco sono in lutto. Le ho parlato della mia difficoltà a legittimare il dolore, perché di fatto forse lo considero poco importante, visto che non mi sono presa tempo e spazio per attraversarlo.
E per uscirne, per vedere di nuovo con serenità una pancia, devo attraversarlo, è l’unico modo per andare avanti. Qualche giorno fa ho letto di Ariel Levy – una scrittrice americana – che ha scritto un libro intitolato “The Rules Do Not Apply“, presto edito anche in Italia. Queste regole che non sono state applicate sono quelle del corpo, il suo, che ha avuto un aborto al 5 mese di gravidanza. Ha partorito suo figlio nel bagno di un hotel in Africa dove si trovava per lavoro e lo ha fotografato: “Solo così avevo la certezza che sarebbe realmente vissuto”. Perché per tutti – tranne che per lei – quel bambino non essendo mai nato, di fatto non è stato una perdita da considerare.
Anche per me è la stessa cosa. Se non tenessi il test di gravidanza, probabilmente farei ancora più fatica a non considerare l’aborto come un sogno, come qualcosa di sospeso che – per quel che ne so vista la capacità altrui di dimenticare – posso essermi solo immaginata.
E allora stanotte, mentre per la centesima volta mi sono alzata a dare l’acqua a Vittoria, mi è venuto in mente il quadro di Frida Kahlo che secondo me rende meglio di tutte le immagini il dolore per la perdita, lei che ha coltivato il sogno di diventare madre e che invece non ci è mai riuscita soffrendo terribilmente. Una perdita che deve ricevere una sua dignità e che deve essere ricordata. Io non voglio scordarmi del bambino che non avrò più. Voglio considerarlo uno dei miei figli. E se nessuno se ne accorge, è giusto che cominci a farlo io.
Fonte foto: dal web
Valentina Colmi
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