Isabella Robbiani non avrebbe bisogno di presentazioni. Ha un curriculum che parla per lei e semplificando molto, posso dire che è una psicologa esperta in genitorialità e haptonomia perinatale. E’ da considerarsi una pioniera, visto che in Italia questo tipo di approccio è ancora poco conosciuto. Presidentessa del MIPPE, l’haptonomia perinatale prevede un accompagnamento che coinvolge sia la madre sia il padre già nei primissimi mesi del concepimento fino all’anno di vita, facilitando la creazione di un legame emotivo con il proprio figlio e mettendosi in condizione di sviluppare più consapevolmente il sentimento genitoriale. Ho letto un suo post molto vero, intitolato “Lavorare fino all’ottavo mese”? che in rete è stato molto condiviso e commentato: è una cosa positiva il fatto di essere impegnate fino all’ultimo? E’ vero che la gravidanza non è una malattia, ma per prepararsi al grande cambiamento che avverrà, forse è il caso di prendersi del tempo. Ecco quello che mi ha raccontato.
Isabella, la prima riflessione che ti volevo domandare è quella del tempo. La prima domanda riguarda il tempo dell’attesa e la sua negazione. Come mai secondo te si dice da più parti che non si fanno più figli, ma subito dopo la nascita bisogna cancellare i segni dell’attesa appunto, cioè si deve ritornare subito in forma quasi a volere eliminare il mistero della gestazione e della nascita?
Il mistero della gestazione e della nascita riguarda sia il tempo che lo spazio. Uno spazio interiore ed esteriore. Uno spazio che per diventare esteriore ha bisogno della legittimazione interiore. Dare spazio al bambino che cresce, permettere al proprio corpo di cambiare, affrontare nella propria mente gli irrisolti, abbandonarsi con fiducia allo svolgimento della vita. Questo avviene in un tempo prestabilito dalla natura, al quale affidarsi. Tutto ciò mette a dura prova la donna che, come dice Galimberti: “troppa è la metamorfosi del loro corpo, la rapina del loro tempo, l’occupazione del loro spazio fisico ed esteriore, interiore e profondo. Per questo, quando un figlio nasce e cresce, bisogna accudire le madri.” Il cambiamento della rappresentazione di sé nel mondo, ma anche il modo in cui gli altri ti percepiscono, la mutazione del proprio corpo in termini appunto di tempo e di spazio, coinvolge e talvolta sconvolge in modo profondo e preciso la psiche femminile, che è abituata a controllare tali dimensioni. Il meccanismo del controllo è infatti uno strumento necessario e prezioso per la donna moderna che le permette di svolgere compiti distanti tra loro, bilanciando le aspettative familiari e lavorative, per far fronte ad un immagine sociale di madre capace e adeguata in ogni cosa che fa. In un recente articolo su una rivista francese mostravano le foto di attrici, modelle e principesse in stato di gravidanza avanzato con pance appena accennate. Veniva messo in rilievo il rischio che tali modelli di donne affermate socialmente, che vivono una gravidanza senza che questo le cambi fisicamente, crei l’illusione a livello sociale che sia possibile affrontare il periodo perinatale, mantenendo inalterato lo spazio, il tempo e il corpo.
E’ innegabile che il legame con il proprio bambino incominci nell’utero. Eppure come dici tu nel tuo post non si riesce quasi a pensare alla gravidanza, visto che si è sommersi da altre cose da fare. Secondo te nel nostro Paese manca un’educazione alla maternità?
Più che di un educazione alla maternità, parlerei di educazione alla genitorialità. Fare figli riguarda donne e uomini e se condividiamo la necessità di accudire le madri per sostenerle nel processo della maternità, è indispensabile coinvolgere in questa educazione anche i futuri padri e la società in generale. Di genitorialità si può parlare sempre, fin da molto piccoli, in quanto si tratta di una funzione psichica che si attiva molto presto nella vita e che riguarda tutti, perché concerne la funzione principale dell’essere genitori: il prendersi cura. Perciò un sogno che coltivo da anni è che si possa sviluppare, in integrazione ai programmi di educazione sessuale e all’affettività, uno spazio più ampio di pensiero, che coinvolga il processo generativo e di cura, come normale sviluppo della persona nella sua interezza.
E’ probabile che una gravidanza vissuta solo fisiologicamente e non emotivamente possa determinare una depressione post partum o un parto prematuro?
Se la preoccupazione materna è tale da far vivere solo fisiologicamente la gravidanza e non emotivamente, se la paura, l’ansia per quella gravidanza genera uno stress continuo e costante, questo può costituire un fattore di rischio alla depressione e alla prematurità. Sempre Galimberti afferma “per questo natura vuole che a generare siano in due, non solo al momento del concepimento e del parto, ma sopratutto nel momento dell’accudimento e della cura. Dove a essere accudito, prima del figlio, che segue la sua cadenza biologica, è la madre, che ha messo a disposizione prima il suo corpo, poi il suo tempo, poi il suo spazio esteriore e interiore, infine l’ambivalenza delle sue emozioni”. Vivere la gravidanza con troppa angoscia, non con ambivalenza che è un sentimento normale e necessario all’elaborazione del cambiamento identitario, è un segnale da non sottovalutare, in particolare dagli operatori che si occupano di accompagnare quella gestazione. Anche per questo motivo è importante che la psicologia perinatale sia materia di apprendimento e parte del bagaglio di conoscenze dei professionisti della nascita, proprio come forma di prevenzione primaria della salute psichica materna.
Cosa pensi dei corsi pre parto?
Tutto il bene possibile. Ne ho condotti per molto tempo all’ospedale Villa Salus di Mestre, incontrando ogni mese circa 30 coppie, che per 12 anni fanno migliaia di madri, padri, bambini fuori e dentro la pancia. Sono una psicologa del lavoro e una formatrice alla base della mia preparazione e, nella mia visione, i corsi di accompagnamento alla nascita sono percorsi formativi che devono prevedere una metodologia attiva di lavoro in piccoli gruppi, durare l’intero arco del perinatale e svolti in equipe multidisciplinari. Proprio perché ho così tanta esperienza in questo campo, mi permetto di affermare che a volte, in particolare quando vi sono situazioni di allerta, di vissuti precedenti difficili, è necessario fare attenzione. Come è vero e dimostrato che i CAN sono utili alla maggior parte delle persone, in quei casi possono emergere delle criticità che vanno contenute da operatori formati alla gestione delle dinamiche di gruppo. La dimensione del gruppo infatti, il confronto con la fisiologia dominante (per fortuna!), l’età gestazionale avanzata durante la quale si iniziano i corsi, rischiano a volte di fare da cassa di risonanza delle proprie fragilità e diventare, malgrado gli sforzi fatti dagli operatori, uno specchio che ingigantisce anziché ridurre e contenere le ansie e le difficoltà di alcune persone. In questi casi, suggerisco percorsi individualizzati, possibilmente di coppia da iniziare il più presto possibile. Inoltre è bene che i corsi pre parto non cadano nella trappola della idealizzazione e della ideologizzazione, creando l’illusione di percorsi fisiologici comuni a tutti, facili, senza intoppi, senza ostacoli, senza dolore. Accogliere e contenere l’ambivalenza emotiva dei genitori in divenire, ascoltarla, non giudicarla, dare buone informazioni corrette scientificamente sono parte integrante e indispensabile di un buon percorso nascita, che non dà ricette, ma ascolto attivo e sensibile.
Secondo te quali soluzioni si possono trovare per poter andare incontro ad una maternità consapevole?
Una maternità e paternità consapevoli sono un percorso che coinvolge molte dimensioni: la cura del corpo, ma anche delle emozioni, delle relazioni, una consapevolezza identitaria che muta e porta con se il fardello dell’influenza del proprio passato, per vivere nel presente ciò che determinerà il futuro. Vorrei aggiungere la dimensione spirituale, non necessariamente legata alla fede religiosa, ma quando si mette al mondo si toccano sempre i confini del sacro, perché dare la vita significa confrontarsi con ciò che pensiamo vi sia prima e dopo la vita e la morte, anche se fosse una visione del tutto laica. Non vi sono dunque soluzioni, ma vivere la nascita e la genitorialità in modo consapevole è una grande opportunità per le persone di crescita e di evoluzione personale, di messa in discussione e di cambiamento. Forse basterebbe che tutti ci rendessimo consapevoli di quanto il perinatale sia importante e fondante nella vita delle persone, come patrimonio culturale ed educativo da trasmettere ai figli, agli amici, ai familiari, in ogni ambiente. Il cambiamento auspicabile è principalmente culturale, e come ogni cambiamento culturale ha bisogno di tempo, cura e della sua rivoluzione.
Isabella Robbiani, esperta di haptonomia perinatale: “Manca un’educazione alla genitorialità”
Isabella Robbiani non avrebbe bisogno di presentazioni. Ha un curriculum che parla per lei e semplificando molto, posso dire che è una psicologa esperta in genitorialità e haptonomia perinatale. E’ da considerarsi una pioniera, visto che in Italia questo tipo di approccio è ancora poco conosciuto. Presidentessa del MIPPE, l’haptonomia perinatale prevede un accompagnamento che coinvolge sia la madre sia il padre già nei primissimi mesi del concepimento fino all’anno di vita, facilitando la creazione di un legame emotivo con il proprio figlio e mettendosi in condizione di sviluppare più consapevolmente il sentimento genitoriale. Ho letto un suo post molto vero, intitolato “Lavorare fino all’ottavo mese”? che in rete è stato molto condiviso e commentato: è una cosa positiva il fatto di essere impegnate fino all’ultimo? E’ vero che la gravidanza non è una malattia, ma per prepararsi al grande cambiamento che avverrà, forse è il caso di prendersi del tempo. Ecco quello che mi ha raccontato.
Isabella, la prima riflessione che ti volevo domandare è quella del tempo. La prima domanda riguarda il tempo dell’attesa e la sua negazione. Come mai secondo te si dice da più parti che non si fanno più figli, ma subito dopo la nascita bisogna cancellare i segni dell’attesa appunto, cioè si deve ritornare subito in forma quasi a volere eliminare il mistero della gestazione e della nascita?
Il mistero della gestazione e della nascita riguarda sia il tempo che lo spazio. Uno spazio interiore ed esteriore. Uno spazio che per diventare esteriore ha bisogno della legittimazione interiore. Dare spazio al bambino che cresce, permettere al proprio corpo di cambiare, affrontare nella propria mente gli irrisolti, abbandonarsi con fiducia allo svolgimento della vita. Questo avviene in un tempo prestabilito dalla natura, al quale affidarsi. Tutto ciò mette a dura prova la donna che, come dice Galimberti: “troppa è la metamorfosi del loro corpo, la rapina del loro tempo, l’occupazione del loro spazio fisico ed esteriore, interiore e profondo. Per questo, quando un figlio nasce e cresce, bisogna accudire le madri.” Il cambiamento della rappresentazione di sé nel mondo, ma anche il modo in cui gli altri ti percepiscono, la mutazione del proprio corpo in termini appunto di tempo e di spazio, coinvolge e talvolta sconvolge in modo profondo e preciso la psiche femminile, che è abituata a controllare tali dimensioni. Il meccanismo del controllo è infatti uno strumento necessario e prezioso per la donna moderna che le permette di svolgere compiti distanti tra loro, bilanciando le aspettative familiari e lavorative, per far fronte ad un immagine sociale di madre capace e adeguata in ogni cosa che fa. In un recente articolo su una rivista francese mostravano le foto di attrici, modelle e principesse in stato di gravidanza avanzato con pance appena accennate. Veniva messo in rilievo il rischio che tali modelli di donne affermate socialmente, che vivono una gravidanza senza che questo le cambi fisicamente, crei l’illusione a livello sociale che sia possibile affrontare il periodo perinatale, mantenendo inalterato lo spazio, il tempo e il corpo.
E’ innegabile che il legame con il proprio bambino incominci nell’utero. Eppure come dici tu nel tuo post non si riesce quasi a pensare alla gravidanza, visto che si è sommersi da altre cose da fare. Secondo te nel nostro Paese manca un’educazione alla maternità?
Più che di un educazione alla maternità, parlerei di educazione alla genitorialità. Fare figli riguarda donne e uomini e se condividiamo la necessità di accudire le madri per sostenerle nel processo della maternità, è indispensabile coinvolgere in questa educazione anche i futuri padri e la società in generale. Di genitorialità si può parlare sempre, fin da molto piccoli, in quanto si tratta di una funzione psichica che si attiva molto presto nella vita e che riguarda tutti, perché concerne la funzione principale dell’essere genitori: il prendersi cura. Perciò un sogno che coltivo da anni è che si possa sviluppare, in integrazione ai programmi di educazione sessuale e all’affettività, uno spazio più ampio di pensiero, che coinvolga il processo generativo e di cura, come normale sviluppo della persona nella sua interezza.
E’ probabile che una gravidanza vissuta solo fisiologicamente e non emotivamente possa determinare una depressione post partum o un parto prematuro?
Se la preoccupazione materna è tale da far vivere solo fisiologicamente la gravidanza e non emotivamente, se la paura, l’ansia per quella gravidanza genera uno stress continuo e costante, questo può costituire un fattore di rischio alla depressione e alla prematurità. Sempre Galimberti afferma “per questo natura vuole che a generare siano in due, non solo al momento del concepimento e del parto, ma sopratutto nel momento dell’accudimento e della cura. Dove a essere accudito, prima del figlio, che segue la sua cadenza biologica, è la madre, che ha messo a disposizione prima il suo corpo, poi il suo tempo, poi il suo spazio esteriore e interiore, infine l’ambivalenza delle sue emozioni”. Vivere la gravidanza con troppa angoscia, non con ambivalenza che è un sentimento normale e necessario all’elaborazione del cambiamento identitario, è un segnale da non sottovalutare, in particolare dagli operatori che si occupano di accompagnare quella gestazione. Anche per questo motivo è importante che la psicologia perinatale sia materia di apprendimento e parte del bagaglio di conoscenze dei professionisti della nascita, proprio come forma di prevenzione primaria della salute psichica materna.
Cosa pensi dei corsi pre parto?
Tutto il bene possibile. Ne ho condotti per molto tempo all’ospedale Villa Salus di Mestre, incontrando ogni mese circa 30 coppie, che per 12 anni fanno migliaia di madri, padri, bambini fuori e dentro la pancia. Sono una psicologa del lavoro e una formatrice alla base della mia preparazione e, nella mia visione, i corsi di accompagnamento alla nascita sono percorsi formativi che devono prevedere una metodologia attiva di lavoro in piccoli gruppi, durare l’intero arco del perinatale e svolti in equipe multidisciplinari. Proprio perché ho così tanta esperienza in questo campo, mi permetto di affermare che a volte, in particolare quando vi sono situazioni di allerta, di vissuti precedenti difficili, è necessario fare attenzione. Come è vero e dimostrato che i CAN sono utili alla maggior parte delle persone, in quei casi possono emergere delle criticità che vanno contenute da operatori formati alla gestione delle dinamiche di gruppo. La dimensione del gruppo infatti, il confronto con la fisiologia dominante (per fortuna!), l’età gestazionale avanzata durante la quale si iniziano i corsi, rischiano a volte di fare da cassa di risonanza delle proprie fragilità e diventare, malgrado gli sforzi fatti dagli operatori, uno specchio che ingigantisce anziché ridurre e contenere le ansie e le difficoltà di alcune persone. In questi casi, suggerisco percorsi individualizzati, possibilmente di coppia da iniziare il più presto possibile. Inoltre è bene che i corsi pre parto non cadano nella trappola della idealizzazione e della ideologizzazione, creando l’illusione di percorsi fisiologici comuni a tutti, facili, senza intoppi, senza ostacoli, senza dolore. Accogliere e contenere l’ambivalenza emotiva dei genitori in divenire, ascoltarla, non giudicarla, dare buone informazioni corrette scientificamente sono parte integrante e indispensabile di un buon percorso nascita, che non dà ricette, ma ascolto attivo e sensibile.
Secondo te quali soluzioni si possono trovare per poter andare incontro ad una maternità consapevole?
Una maternità e paternità consapevoli sono un percorso che coinvolge molte dimensioni: la cura del corpo, ma anche delle emozioni, delle relazioni, una consapevolezza identitaria che muta e porta con se il fardello dell’influenza del proprio passato, per vivere nel presente ciò che determinerà il futuro. Vorrei aggiungere la dimensione spirituale, non necessariamente legata alla fede religiosa, ma quando si mette al mondo si toccano sempre i confini del sacro, perché dare la vita significa confrontarsi con ciò che pensiamo vi sia prima e dopo la vita e la morte, anche se fosse una visione del tutto laica. Non vi sono dunque soluzioni, ma vivere la nascita e la genitorialità in modo consapevole è una grande opportunità per le persone di crescita e di evoluzione personale, di messa in discussione e di cambiamento. Forse basterebbe che tutti ci rendessimo consapevoli di quanto il perinatale sia importante e fondante nella vita delle persone, come patrimonio culturale ed educativo da trasmettere ai figli, agli amici, ai familiari, in ogni ambiente. Il cambiamento auspicabile è principalmente culturale, e come ogni cambiamento culturale ha bisogno di tempo, cura e della sua rivoluzione.
Foto credits: Facebook
Valentina Colmi
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