‘Per quanto riguarda la depressione c’è una doppia sottovalutazione sociale: da un lato non si riconoscono e non si accolgono le tante sfaccettature della maternità….Dall’altro quando tutto ciò si amplifica e si incanala, insieme ad altri fattori, in uno stato depressivo lo si riconosce a stento’.
Oggi ospitiamo un’associazione storica di Roma: il Melograno è infatti presente sul territorio dal 1983 e aiuta le donne – e i loro bambini di conseguenza – a percorrere la nuova avventura della maternità, con uno sguardo attento e realistico. Moltissimi i servizi offerti, sia in gravidanza sia nel post partum (vi segnalo in particolare “Mamme appena nate”): un solido punto di riferimento che ha anche sedi in altre parti d’Italia (Abbiategrasso, Gallarate e Milano Sud). Ringrazio la dottoressa Raffaella Scalisi, psicologa Socia fondatrice nonchè Vicepresidente dell’Associazione.
Il Melograno è un’associazione che da oltre 30 anni opera a Roma. Secondo la vostra esperienza sono cambiate – se sono cambiate – le mamme in tutto questo tempo della vostra attività?
Non è facile parlare di mamme in generale. Sicuramente sono cambiate le mamme che si rivolgono alla nostra associazione. Nei primi tempi afferivano quasi esclusivamente mamme che desideravano per la loro maternità un percorso diverso da quello proposto dalle strutture ospedaliere, cercavano la possibilità di fare un parto in casa o comunque un parto in cui sentirsi protagoniste, libere di scegliere posizioni e pratiche ostetriche, sostenute da persone rispettose dell’intimità e delle emozioni della nascita. Erano donne e coppie già orientate in questa direzione. Oggi questa tipologia rimane ma non è più prevalente. Sentiamo al tempo stesso che non è cambiato, anzi forse si è rafforzato, il desiderio di non sentirsi sole, di trovare spazi di condivisione. E’ sempre stata molto forte, ma forse oggi lo è ancora di più, la solitudine, l’isolamento sociale, il senso di incomprensione e lo spaesamento di fronte a un evento che è percepito sempre più complesso e difficile
Come vengono a conoscenza della vostra presenza sul territorio? (lo dicono in ospedale, lo scoprono su internet, parlando con le amiche…)?
Le donne che frequentano il nostro centro e partecipano alle attività proposte sia in gravidanza che dopo il parto, arrivano o tramite internet (sito, facebook, newsletter) o tramite il passaparola. Ma ci sono anche altre donne che arrivano al Melograno grazie a progetti specifici. Uno di questi “Accogliere la Nascita”, che il Melograno porta avanti in Convenzione con il Comune di Roma da oltre 10 anni, si rivolge in particolare a donne in condizioni di fragilità in gravidanza e durante il primo anno di vita del bambino. In questi casi la presa in carico avviene anche grazie alla segnalazione da parte dei servizi territoriali delle ASL, dei servizi sociali dei municipi e dai reparti ospedalieri di ostetricia.
Secondo la vostra esperienza, le mamme vengono informate sufficientemente delle difficoltà della maternità, ad esempio nei corsi pre parto?
Non è tanto una questione di essere informate, quanto di accrescere una consapevolezza nel capire perché queste difficoltà oggi sono avvertite così forti, cosa le ha amplificate e come ci si può attrezzare per non essere sole ad affrontarle.
Sempre dalla vostra esperienza, come viene trattata la maternità oggi? Voi vi impegnate affinché la gravidanza e il parto siano degli eventi i più naturali possibili, ma in generale quanto lavoro c’è ancora da fare in questo senso (penso ad esempio al fatto che l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di cesarei)?
Il lavoro è sicuramente tanto e su vari fronti. Siamo convinte innanzitutto che occorra superare la contrapposizione ideologica tra natura e tecnologia/scienza/medicina. Non si tratta tanto di difendere il “parto naturale” contro il “parto medicalizzato”. Sarebbe preferibile parlare di:
scelta della donna delle modalità con cui vivere il proprio parto (maggiore rispetto della sua individualità e del suo protagonismo)
rispetto e assecondamento dei percorsi fisiologici
utilizzo di una tecnologia e di un’ostetricia che faccia riferimento a evidenze scientifiche
rispetto e accoglienza di tutte le dimensioni della nascita (fisiche, affettive, emotive, sociali, culturali..)
riconoscimento e valorizzazione della competenza delle donne di mettere al mondo un bambino, del corpo femminile di partorire e del bambino di venire alla luce.
In questo senso la riduzione del numero di cesarei non è un obiettivo di per sé ma sta dentro a un cambiamento molto più ampio, di natura culturale, sociale, sanitaria.
Avete avuto casi di depressione post partum? Come li avete affrontati?
Nel progetto “Accogliere la nascita” abbiamo seguito e seguiamo molte mamme con depressione post partum. L’intervento di sostegno domiciliare che proponiamo non è finalizzato però al superamento in sé della depressione (per il quale sono necessari trattamenti specifici) quanto a facilitare l’avvio di una buona relazione con il figlio nonostante la depressione. Lo facciamo innanzitutto accogliendo la sofferenza e i vissuti della donna, con un ascolto privo di giudizio, di colpevolizzazione e di banalizzazione. Ci prendiamo cura di lei e senza sostituirci l’accompagniamo nel prendersi cura del proprio bambino, valorizzando e sostenendo le sue capacità di entrare in sintonia con lui e di rispondere ai suoi bisogni con sensibilità e “occhi attenti” ai segnali che invia. Spesso lo stato depressivo e soprattutto la sua non comprensione da parte degli altri, blocca nella mamma la capacità di attingere alle sue risorse e interferisce nella capacità di “vedere” e riconoscere il bambino e le sue esigenze. S’innesca così un circolo vizioso in cui la relazione con il bambino si carica di ansie, di paure, di sensi di colpa che si amplificano e si rafforzano sempre di più. Favoriamo, infine, laddove è necessario, l’accompagnamento a quei servizi che possono farsi carico degli aspetti terapeutici della depressione.
Cosa spaventa di più le mamme dopo essere diventate genitori?
Da un lato il bombardamento di tanti consigli e tante indicazioni, spesso contrastanti tra loro, che arrivano da ogni parte, creando uno stato di confusione e di insicurezza enorme. Nessuno dà fiducia alla mamma, alle sue capacità di comprendere man mano il bambino, scoprendolo nella sua individualità. Nessuno le dà il tempo per farlo, nessuno le riconosce una competenza, che non è tanto legata ad un fantomatico “istinto materno” (nella specie umana non ha senso parlare di istinti), quanto alle trasformazioni che avvengono sia nel suo corpo che nella sua mente durante la gravidanza, il parto, l’allattamento, attraverso la vicinanza stretta con il bambino.
Dall’altro lato spaventano i sentimenti, i vissuti intensi e molteplici, anche dissonanti, che insorgono con la nascita di un figlio. E’ un groviglio di emozioni profonde che trova poco spazio di accoglienza e che fa sentire le mamme fragili e soprattutto inadeguate rispetto ad un modello idealizzato di madre felice, serena e soddisfatta. E’ uno sconvolgimento che tocca piani diversi e poco nominabili, dal piacere intenso ad un’ambivalenza lacerante.
Nello specifico, per quanto riguarda la depressione c’è una doppia sottovalutazione sociale: da un lato non si riconoscono e non si accolgono le tante sfaccettature della maternità, le ambivalenze, le ansie, le fatiche, le rabbie, le angosce, i desideri di fuga, i vuoti, che “normalmente” accompagnano la nascita di un figlio… Dall’altro quando tutto ciò si amplifica e si incanala, insieme ad altri fattori, in uno stato depressivo lo si riconosce a stento, si ritarda ad offrirle un aiuto serio, si banalizza con il dire “passerà, tutte le donne piangono nell’allattamento, ci penserà il bambino a tirarla su…”
Secondo la vostra esperienza, il modo in cui viene raccontata la maternità dai media (ad esempio la negazione dei segni della gravidanza a poco tempo dal parto da parte di alcune donne dello spettacolo) contribuisce a far sentire le donne “normali” più fragili?
Sicuramente sì, contribuisce, anche se i media non sono gli unici responsabili. Contribuisce anche il mondo del lavoro, il sistema carente dei servizi sociali, l’attuale organizzazione sanitaria dell’assistenza alla nascita,l’assenza di un pensiero collettivo che consideri la gravidanza non solo il “tempo dell’attesa“, non solo uno stato da monitorare e controllare esclusivamente su un piano medico-sanitario, ma un momento di profondatrasformazione di sé su diversi piani, un momento di crescita e di sviluppo di capacità creative e potenti da accogliere, valorizzare e sostenere.
Tramite i vostri corsi le mamme riescono a “fare rete”, cioè ad aprirsi sul terreno del confronto quando hanno delle difficoltà oppure esiste ancora un atteggiamento omertoso su certi aspetti, come ad esempio non amare da subito il proprio bambino?
La condivisione dei profondi sentimenti che accompagnano la nascita richiede un’accoglienza e un contenimento molto attento, non basta mettere insieme le donne in un gruppo, occorre prendersi cura della sua costituzione, proteggere uno spazio intimo, creare legami di vicinanza concreta, sbarazzarsi di atteggiamenti giudicanti, sollecitare una dimensione di reale ascolto e sintonizzazione.
Le vostre prossime iniziative?
Il Melograno come sempre porta avanti una serie di appuntamenti rivolti alle donne e alle coppie in tutto il percorso nascita (consultabili sul nostro sito www.melogranoroma.org) . Da gennaio abbiamo aperto, grazia al contributo della Regione Lazio, anche uno spazio gratuito di incontro e condivisione di esperienze (Il Salotto delle Mamme). Tutti i martedì presso la nostra sede è possibile incontrare operatrici Melograno per avere informazioni, orientamento e trovare spazi di confronto sui temi della genitorialità. Ma i progetti portati avanti dal Melograno sono veramente moltissimi, per questo vi invitiamo a consultare il nostro sito e ad iscrivervi alla nostra news letter per avere informazioni sempre aggiornate sui progetti in corso.
Potete trovare tutti i riferimenti relativi all’associazione qui.
Il Melograno Roma: l’associazione che da 30 anni tutela la maternità
‘Per quanto riguarda la depressione c’è una doppia sottovalutazione sociale: da un lato non si riconoscono e non si accolgono le tante sfaccettature della maternità….Dall’altro quando tutto ciò si amplifica e si incanala, insieme ad altri fattori, in uno stato depressivo lo si riconosce a stento’.
Oggi ospitiamo un’associazione storica di Roma: il Melograno è infatti presente sul territorio dal 1983 e aiuta le donne – e i loro bambini di conseguenza – a percorrere la nuova avventura della maternità, con uno sguardo attento e realistico. Moltissimi i servizi offerti, sia in gravidanza sia nel post partum (vi segnalo in particolare “Mamme appena nate”): un solido punto di riferimento che ha anche sedi in altre parti d’Italia (Abbiategrasso, Gallarate e Milano Sud). Ringrazio la dottoressa Raffaella Scalisi, psicologa Socia fondatrice nonchè Vicepresidente dell’Associazione.
Il Melograno è un’associazione che da oltre 30 anni opera a Roma. Secondo la vostra esperienza sono cambiate – se sono cambiate – le mamme in tutto questo tempo della vostra attività?
Non è facile parlare di mamme in generale. Sicuramente sono cambiate le mamme che si rivolgono alla nostra associazione. Nei primi tempi afferivano quasi esclusivamente mamme che desideravano per la loro maternità un percorso diverso da quello proposto dalle strutture ospedaliere, cercavano la possibilità di fare un parto in casa o comunque un parto in cui sentirsi protagoniste, libere di scegliere posizioni e pratiche ostetriche, sostenute da persone rispettose dell’intimità e delle emozioni della nascita. Erano donne e coppie già orientate in questa direzione. Oggi questa tipologia rimane ma non è più prevalente. Sentiamo al tempo stesso che non è cambiato, anzi forse si è rafforzato, il desiderio di non sentirsi sole, di trovare spazi di condivisione. E’ sempre stata molto forte, ma forse oggi lo è ancora di più, la solitudine, l’isolamento sociale, il senso di incomprensione e lo spaesamento di fronte a un evento che è percepito sempre più complesso e difficile
Come vengono a conoscenza della vostra presenza sul territorio? (lo dicono in ospedale, lo scoprono su internet, parlando con le amiche…)?
Le donne che frequentano il nostro centro e partecipano alle attività proposte sia in gravidanza che dopo il parto, arrivano o tramite internet (sito, facebook, newsletter) o tramite il passaparola. Ma ci sono anche altre donne che arrivano al Melograno grazie a progetti specifici. Uno di questi “Accogliere la Nascita”, che il Melograno porta avanti in Convenzione con il Comune di Roma da oltre 10 anni, si rivolge in particolare a donne in condizioni di fragilità in gravidanza e durante il primo anno di vita del bambino. In questi casi la presa in carico avviene anche grazie alla segnalazione da parte dei servizi territoriali delle ASL, dei servizi sociali dei municipi e dai reparti ospedalieri di ostetricia.
Secondo la vostra esperienza, le mamme vengono informate sufficientemente delle difficoltà della maternità, ad esempio nei corsi pre parto?
Non è tanto una questione di essere informate, quanto di accrescere una consapevolezza nel capire perché queste difficoltà oggi sono avvertite così forti, cosa le ha amplificate e come ci si può attrezzare per non essere sole ad affrontarle.
Sempre dalla vostra esperienza, come viene trattata la maternità oggi? Voi vi impegnate affinché la gravidanza e il parto siano degli eventi i più naturali possibili, ma in generale quanto lavoro c’è ancora da fare in questo senso (penso ad esempio al fatto che l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di cesarei)?
Il lavoro è sicuramente tanto e su vari fronti. Siamo convinte innanzitutto che occorra superare la contrapposizione ideologica tra natura e tecnologia/scienza/medicina. Non si tratta tanto di difendere il “parto naturale” contro il “parto medicalizzato”. Sarebbe preferibile parlare di:
scelta della donna delle modalità con cui vivere il proprio parto (maggiore rispetto della sua individualità e del suo protagonismo)
rispetto e assecondamento dei percorsi fisiologici
utilizzo di una tecnologia e di un’ostetricia che faccia riferimento a evidenze scientifiche
rispetto e accoglienza di tutte le dimensioni della nascita (fisiche, affettive, emotive, sociali, culturali..)
riconoscimento e valorizzazione della competenza delle donne di mettere al mondo un bambino, del corpo femminile di partorire e del bambino di venire alla luce.
In questo senso la riduzione del numero di cesarei non è un obiettivo di per sé ma sta dentro a un cambiamento molto più ampio, di natura culturale, sociale, sanitaria.
Avete avuto casi di depressione post partum? Come li avete affrontati?
Nel progetto “Accogliere la nascita” abbiamo seguito e seguiamo molte mamme con depressione post partum. L’intervento di sostegno domiciliare che proponiamo non è finalizzato però al superamento in sé della depressione (per il quale sono necessari trattamenti specifici) quanto a facilitare l’avvio di una buona relazione con il figlio nonostante la depressione. Lo facciamo innanzitutto accogliendo la sofferenza e i vissuti della donna, con un ascolto privo di giudizio, di colpevolizzazione e di banalizzazione. Ci prendiamo cura di lei e senza sostituirci l’accompagniamo nel prendersi cura del proprio bambino, valorizzando e sostenendo le sue capacità di entrare in sintonia con lui e di rispondere ai suoi bisogni con sensibilità e “occhi attenti” ai segnali che invia. Spesso lo stato depressivo e soprattutto la sua non comprensione da parte degli altri, blocca nella mamma la capacità di attingere alle sue risorse e interferisce nella capacità di “vedere” e riconoscere il bambino e le sue esigenze. S’innesca così un circolo vizioso in cui la relazione con il bambino si carica di ansie, di paure, di sensi di colpa che si amplificano e si rafforzano sempre di più. Favoriamo, infine, laddove è necessario, l’accompagnamento a quei servizi che possono farsi carico degli aspetti terapeutici della depressione.
Cosa spaventa di più le mamme dopo essere diventate genitori?
Da un lato il bombardamento di tanti consigli e tante indicazioni, spesso contrastanti tra loro, che arrivano da ogni parte, creando uno stato di confusione e di insicurezza enorme. Nessuno dà fiducia alla mamma, alle sue capacità di comprendere man mano il bambino, scoprendolo nella sua individualità. Nessuno le dà il tempo per farlo, nessuno le riconosce una competenza, che non è tanto legata ad un fantomatico “istinto materno” (nella specie umana non ha senso parlare di istinti), quanto alle trasformazioni che avvengono sia nel suo corpo che nella sua mente durante la gravidanza, il parto, l’allattamento, attraverso la vicinanza stretta con il bambino.
Dall’altro lato spaventano i sentimenti, i vissuti intensi e molteplici, anche dissonanti, che insorgono con la nascita di un figlio. E’ un groviglio di emozioni profonde che trova poco spazio di accoglienza e che fa sentire le mamme fragili e soprattutto inadeguate rispetto ad un modello idealizzato di madre felice, serena e soddisfatta. E’ uno sconvolgimento che tocca piani diversi e poco nominabili, dal piacere intenso ad un’ambivalenza lacerante.
Nello specifico, per quanto riguarda la depressione c’è una doppia sottovalutazione sociale: da un lato non si riconoscono e non si accolgono le tante sfaccettature della maternità, le ambivalenze, le ansie, le fatiche, le rabbie, le angosce, i desideri di fuga, i vuoti, che “normalmente” accompagnano la nascita di un figlio… Dall’altro quando tutto ciò si amplifica e si incanala, insieme ad altri fattori, in uno stato depressivo lo si riconosce a stento, si ritarda ad offrirle un aiuto serio, si banalizza con il dire “passerà, tutte le donne piangono nell’allattamento, ci penserà il bambino a tirarla su…”
Secondo la vostra esperienza, il modo in cui viene raccontata la maternità dai media (ad esempio la negazione dei segni della gravidanza a poco tempo dal parto da parte di alcune donne dello spettacolo) contribuisce a far sentire le donne “normali” più fragili?
Sicuramente sì, contribuisce, anche se i media non sono gli unici responsabili. Contribuisce anche il mondo del lavoro, il sistema carente dei servizi sociali, l’attuale organizzazione sanitaria dell’assistenza alla nascita, l’assenza di un pensiero collettivo che consideri la gravidanza non solo il “tempo dell’attesa“, non solo uno stato da monitorare e controllare esclusivamente su un piano medico-sanitario, ma un momento di profonda trasformazione di sé su diversi piani, un momento di crescita e di sviluppo di capacità creative e potenti da accogliere, valorizzare e sostenere.
Tramite i vostri corsi le mamme riescono a “fare rete”, cioè ad aprirsi sul terreno del confronto quando hanno delle difficoltà oppure esiste ancora un atteggiamento omertoso su certi aspetti, come ad esempio non amare da subito il proprio bambino?
La condivisione dei profondi sentimenti che accompagnano la nascita richiede un’accoglienza e un contenimento molto attento, non basta mettere insieme le donne in un gruppo, occorre prendersi cura della sua costituzione, proteggere uno spazio intimo, creare legami di vicinanza concreta, sbarazzarsi di atteggiamenti giudicanti, sollecitare una dimensione di reale ascolto e sintonizzazione.
Le vostre prossime iniziative?
Il Melograno come sempre porta avanti una serie di appuntamenti rivolti alle donne e alle coppie in tutto il percorso nascita (consultabili sul nostro sito www.melogranoroma.org) . Da gennaio abbiamo aperto, grazia al contributo della Regione Lazio, anche uno spazio gratuito di incontro e condivisione di esperienze (Il Salotto delle Mamme). Tutti i martedì presso la nostra sede è possibile incontrare operatrici Melograno per avere informazioni, orientamento e trovare spazi di confronto sui temi della genitorialità. Ma i progetti portati avanti dal Melograno sono veramente moltissimi, per questo vi invitiamo a consultare il nostro sito e ad iscrivervi alla nostra news letter per avere informazioni sempre aggiornate sui progetti in corso.
Potete trovare tutti i riferimenti relativi all’associazione qui.
Valentina Colmi
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